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Troppi compiti

Domande strategiche

Storia
Buongiorno professoressa. Le ho chiesto un incontro perché mio figlio ha sempre troppi compiti. Lei deve capirmi, è una situazione impossibile!
Buon giorno, signora. Sono felice di vederla. Suo figlio è un gran bravo ragazzo, sono molto soddisfatta di lui. Mi dice che ha troppi compiti: globalmente o riferito alla mia materia?
Non lo so di preciso, purtroppo io lavoro, e non posso seguire sempre mio figlio nel fare i compiti. Da quello che dice, però, ha molti compiti in generale, e soprattutto della sua materia.
Signora, non si preoccupi se non può fare i compiti con suo figlio: è un ragazzo responsabile, e fare i compiti da solo ha sicuramente contribuito a renderlo tale. Quindi lei non sa esattamente quanti compiti ha suo figlio. La definizione di troppi compiti nasce da quello che dice lui o dal fatto che lo vede studiare troppe ore al giorno? Magari anche la sera dopo cena.
Lui non si lamenta, anzi, sembra contento. E la sera dice sempre che ha finito i compiti (spero sia vero) e guarda sempre un po’ di televisione con noi. È che al pomeriggio deve sempre studiare. Mio marito vorrebbe che andasse in palestra, io vorrei che frequentasse i figli delle mie amiche. Ma tutte le volte che gli diciamo qualcosa, o che mio marito vuole accompagnarlo in palestra, dice sempre che deve studiare, che ha i compiti da fare, che lei gli dà buoni voti e lui vuole continuare ad essere tra i più bravi nella sua materia. Io e mio marito ne abbiamo parlato, e abbiamo dedotto che lei gli dà troppi compiti.
Forse comincio a capire. In palestra è iscritto a pallacanestro?
Sì, certo. È lo sport preferito da mio marito. Da ragazzo stava per giocare professionista, poi però si è fatto male ad un ginocchio e ha dovuto rinunciare. Ma perché me lo chiede?
Vede, alcuni mesi fa ho sentito i ragazzi parlare di sport, e suo figlio diceva di detestare la pallacanestro. Mi domando se sia per questo che non vuole andare in palestra e di conseguenza, per non offendere il padre, dice di avere troppi compiti. Provate a lasciarlo scegliere lo sport che vuole.
Grazie, probabilmente ha ragione

Domande
  • Come si chiama la tecnica di comunicazione utilizzata dalla professoressa?
  • In che cosa consiste la tecnica?
  • Come e quando si utilizza?
Risposte
Come si chiama la tecnica di comunicazione utilizzata dalla professoressa?
La tecnica usata è quella delle domande strategiche, o domande potenti.
In che cosa consiste la tecnica?
La tecnica delle domande strategiche nasce dal fatto che le domande dirette possono creare barriere, le domande aperte possono provocare risposte lunghissime e confuse e le domande che iniziano con “Perché?” spesso creano entrambe i problemi
Le domande strategiche sono formulate in modo da fornire due possibili risposte, costringendo chi deve rispondere a scegliere tra due opzioni proposte: 
In alternativa possono essere utilizzati alcuni accorgimenti: “mi domando se”, espressione che induce a offrire aiuto anziché sentirsi inquisito, oppure chiedere “il motivo principale” anziché chiedere semplicemente Perché, modalità che porta ad una maggiore riflessione e ad una maggiore sintesi. 
  • Mi dice che ha troppi compiti: globalmente o riferito alla mia materia?
  • La definizione di troppi compiti nasce da quello che dice lui o dal fatto che lo vede studiare troppe ore al giorno? Magari anche la sera dopo cena.
  • Mi domando se sia per questo che non vuole andare in palestra e di conseguenza, per non offendere il padre, dice di avere troppi compiti.
Come e quando si utilizza?
Le domande strategiche permettono di mirare con più precisione, senza essere invasive o indagatorie
Le domande strategiche vengono proposte organizzandole in una sorta di imbuto per condurre l’interlocutore in un percorso cognitivo verso la nuova realtà. 
Ogni domanda viene costruita prendendo spunto dalla risposta precedente e in questo modo si riesce a mantenere un filo psicologico continuo con la logica e le sensazioni dell’interlocutore.

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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