Management per il Medico

Management per il medico


Articoli e strumenti di management, consigli, opinioni e suggerimenti per il business.


Questa pagina tratta di gestione e strategia, consigli per fare o realizzare piani stragici.


Il punto di vista è il mio: il vero successo negli affari è quello che in sinergia con il benessere personale e la qualità di vita


Autore: Carla Fiorentini 2 novembre 2024
Un patto complesso e composito
Autore: Carla Fiorentini 23 settembre 2024
La nostra vita, e il nostro ben-essere, sono fortemente influenzati dai patti di fiducia.
Autore: Carla Fiorentini 15 settembre 2024
Una delle maggiori carenze di oggi è la capacità di ascolto. E nella visita medica subentrano anche altre difficoltà, proprio quando è indispensabile, invece, che il paziente ascolti. Poniamo che siate perfettamente in grado di comunicare, che siate ben sicuri di dedicare il tempo necessario, le parole giuste, il tono adeguato, il linguaggio più idoneo. Allora è tutto a posto? Potete essere sicuri che il paziente vi ha ascoltato e seguirà le vostre indicazioni? Chi è attento alla comunicazione, chi segue con accortezza i propri pazienti sa bene che non può essere sicuro. Le variabili sono tante, gli inghippi che possono sorgere sono davvero numerosi. E allora? Ci sono un paio di cose a cui prestare particolare attenzione, e magari dedicarvi alcuni trucchi. La prima è la postura del paziente . È provato che chi sta regolarmente in posizione di chiusura (braccia conserte, gambe accavallate) ascolta meno rispetto a chi sta in posizione più disponibile. Quindi questo è già un indizio. Se poi il paziente crea barriere tra voi e lui, ad esempio ponendo oggetti sulla scrivania nella traiettoria immaginaria che vi unisce, le probabilità che non ascolti aumentano. E ricordate che i motivi di non ascolto possono essere davvero numerosi, compresa la paura o l’ansia. Assicuratevi quindi che lo spazio tra voi sia libero, verificate che non ci siano motivi specifici per la posizione del paziente (ad esempio potrebbe semplicemente avere freddo) e, se vi trovate in una situazione di probabile non ascolto, inducete il paziente a cambiare posizione, ad esempio mostrandogli qualcosa. Ricordate inoltre che la posizione che maggiormente indice alla collaborazione non è quella di contrapposizione ai due lati della scrivania, ma quella con le sedie a 45° tra loro, entrambe dallo stesso lato della scrivania. Un altro elemento è la reazione verbale del paziente alle vostre parole. Ricordate che chi ha la tendenza a terminare le frasi, o le parole, è generalmente in situazione di ascolto riflessivo. In pratica, non ascolta ciò che state dicendo. La maniera ottimale per assicurarsi che il paziente abbia ascoltato, e capito, è invitarlo con opportuni “trucchi” a riformulare con parole sue quello che gli avete spiegato o raccomandato. Potete quindi chiedere “ quale parte della terapia pensa che gli risulterà più semplice ” (non quella più difficile, ma quella più facile! Aiutatelo a concentrarsi sul positivi, non sul negativo) oppure a quale azione quotidiana pensa di associare la terapia per ricordarsela meglio, o qualunque cosa sia idonea a far sì che il paziente ripeta, con metafore o parole sue, le vostre raccomandazioni. E allora sì, potete esse sicuri che ha ascoltato e compreso.
Autore: Carla Fiorentini 25 agosto 2024
Motivare il paziente, indurlo a seguire la terapia, convincerlo a rispettare le indicazioni, è uno dei maggiori obiettivi dell’attività del medico. Riuscire ad avere un paziente motivato nel seguire le indicazioni, le prescrizioni e i consigli, è sicuramente un obiettivo importante. È anche un obiettivo ragionevole e raggiungibile? Teoricamente se una persona va dal medico perché non sta bene e il medico offre una risposta ed una soluzione, chiunque dovrebbe essere estremamente motivato nel seguire le indicazioni e le cure ricevute. Eppure è risaputo che non è così: l a percentuale di coloro che seguono solo in parte le prescrizioni è molto elevata. Quindi c’è qualcosa che non va nel presupposto che sta alla base di molte relazioni medico – paziente: tu (paziente) hai un problema, io (medico) sono in grado di risolverlo, quindi fai quello che dico. L’equivoco è proprio qui. Persino in ambito chirurgico, dove l’operazione in sé è risolutiva e il paziente è sotto il completo controllo medico, la motivazione del paziente fa la differenza in termini di tempi e pienezza della guarigione . In pratica, qualunque sia il problema, il paziente deve contribuire, partecipare, e questo contributo è principalmente la motivazione. E allora: è possibile motivare il paziente? E come? In senso assoluto non è possibile “risolvere il problema di un altro”, così come non si può motivare un'altra persona. Si può, o forse sarebbe meglio dire si deve) aiutarlo a trovare dentro di sé la motivazione. È possibile aiutare il paziente a trovare dentro di sé la motivazione. Come? Dipende dal paziente. Come ogni medico sa, qualcuno viene motivato dalla paura, altri dalla speranza di guarigione. Non c’è un’unica ragione per essere motivati. Ma c’è una sorta di “ricetta base” che aiuta a trovare le parole giuste per motivare ciascun singolo paziente: coinvolgimento, empatia, ricalco e guida, comprensione.
Autore: Carla Fiorentini 4 agosto 2024
Passati i tempi medioevali del medico padre – padrone, oggi la comunicazione medico – paziente è al centro dell’attenzione ed è, almeno parzialmente, regolamentata anche per legge. Così il medico è tenuto a specificare gli effetti indesiderati . È corretto, è giusto, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. Però ricordate che oltre che specificare le reazioni avverse, vanno spiegate. E, comunque, questo è necessario ma non certo sufficiente per ottenere la compliance e men che meno per aiutare il paziente alla guarigione. Chi è pienamente consapevole di quanto sto dicendo, mi perdoni. Parlo con cognizione di causa: negli ultimi anni ho frequentato, come paziente, più medici che nei precedenti cinquantasei anni di vita. È pienamente dimostrato che la terapia, da sola, non ottiene i risultati migliori. È indispensabile la piena partecipazione del paziente. E per ottenerla il medico dovrebbe spiegare con dovizia di particolari i vantaggi che il paziente ottiene dalla terapia, qualunque essa sia. Spesso, invece, i benefici vengono dati per scontati. Sì, è ovvio che la terapia scelta curerà la malattia, ma non basta. E se una volta, forse, era sufficiente, oggi il rischio è che i benefici dati per scontati vengano annullati dagli effetti indesiderati dichiarati per legge. Quindi, per favore, ricordate che le ultime parole che il paziente deve sentire da voi al termine della visita sono gli enormi benefici che può trarre dalla terapia che avete impostato, e che lui seguirà con la massima compliance!
Autore: Carla Fiorentini 21 luglio 2024
In tutti questi anni in cui mi sono occupata di comunicazione in ambito salute è emerso spesso un pregiudizio, una convinzione decisamente limitante, un modello mentale decisamente falso. Molti pensano , infatti, che se il medico sa comunicare, i vantaggi siano tutti dalla parte del paziente. Ne deriva un messaggio abbastanza falsato: tu, medico, devi imparare a comunicare, spendendo tempo ed energie, per fare un favore al paziente, come se ciò facesse parte del buonismo, del sacrificio del medico e dell’aspetto missionario della professione medica. Certo che il paziente ha dei vantaggi, ma il medico trae benefici notevoli da una sua buona comunicazione. Il primo vantaggio è il risparmio di tempo . Sembra strano, vero? Anzi, molti pensano l’esatto contrario. Invece saper comunicare significa anche conoscere le cose più utili da dire a ciascun paziente, porre le domande in maniera più incisiva, essere più chiari per quel preciso paziente (e quindi non dover ripetere le cose). C’è poi una riduzione del rischio di denunce. Persino la serie di telefilm Bull evidenzia, in un episodio, come molti contenziosi legali tra medico e paziente nascano proprio dalla sensazione che il paziente ha di non essere considerato. Problemi di comunicazione e gestione del paziente da parte del medico sono alla base delle denunce molto più degli errori medici. E sappiamo che un maggior numero di conteziosi comporta perdita di tempo e aumento di costo delle assicurazioni professionali. Una buona comunicazione, nel senso più ampio del termine, significa maggiore compliance da parte del paziente . Questa, a sua volta, si traduce in maggiori successi terapeutici , il che comporta prestigio e soddisfazioni, e persino poter chiedere parcella più alte. Infine è dimostrato che una buona comunicazione porta, direttamente e indirettamente, ad una elevata fidelizzazione del paziente. Il paziente fidelizzato torna, e consiglia il medico ad amici e conoscenti. Per chi fa la libera professione questo si traduce in successo, anche economico. Ultimo, come elenco ma non come importanza, saper comunicare e gestire significa riduzione dello stress e consapevolezza, quindi saper tenere a bada il burnout. Direi che non è poco!
Autore: Carla Fiorentini 30 giugno 2024
Tempi speciali hanno bisogno di persone speciali
Autore: Carla Fiorentini 26 maggio 2024
Si definisce medicina difensiva la scelta del medico di prescrivere esami e accertamenti eccessivi e talvolta inappropriati in relazione alla sintomatologia del paziente al solo scopo di mettersi al riparo da eventuali cause per sospetta negligenza. La prescrizione di esami e accertamenti eccessivi o inappropriati è quindi indubbiamente il sintomo principale che ci si è avviati alla medicina difensiva. Però se si è arrivati a questo punto, il sintomo è molto evidente e la malattia comportamentale è conclamata. Esistono dei sintomi precoci? C’è modo di capire preventivamente se la paura sta dominando l’attività professionale più delle competenze? Io credo di sì. Intanto bisogna riconoscere la paura fin dal suo iniziale apparire. Se quando fate una scelta diagnostica o terapeutica compare, o anche solo si affaccia velatamente nel vostro pensiero, il timore che il paziente possa denunciarvi, siete sulla buona strada per praticare medicina difensiva. Se non sapete fare una graduatoria di quali tra i vostri pazienti potrebbero essere insoddisfatti delle vostre prestazioni professionali, ma li ritenete tutti ugualmente minacciosi, siete sulla buona strada per praticare medicina difensiva. Ma esiste un altro sintomo, più subdolo. Se avete preso l’abitudine di spaventare i vostri pazienti, vi state incamminando sulla strada della medicina difensiva. Questo è un sintomo subdolo, perché il medico si sente “forte e sicuro”, quindi non sospetta di attraversare una fase di paura. Attenzione : non parlo di quei (rarissimi) casi in cui il medico, forzando se stesso, decide di spaventare il paziente! Nel coaching ad esempio la scelta di generare un momento difficile per poi ottenere risultati è una tecnica ben precisa, che dovrebbe essere usata come ultima spiaggia, ma che talvolta è necessaria per dare una svolta a situazioni che sembrano essere immutabili. Ma sempre più spesso mi vengono raccontati aneddoti su modalità di comunicazione che generano terrore nel paziente. Medici che, ancor prima di ultimare la visita, dichiarano gravi rischi per la sopravvivenza, frasi come “ lo sa che può morire?” o “è cosciente che forse ha un tumore? ” … All’inizio pensavo potesse essere banale maleducazione: i medici non ne sono immuni. Poi un amico medico, che sta attraversando un momento difficile, mi ha fornito una diversa chiave di lettura. “ quando ho davanti un paziente che rompe, o ascolta poco, gli lancio un messaggio che spaventa. Da quel momento in poi, diventa un agnellino, e mi ubbidisce senza fiatare! Questa è medicina difensiva! E spesso è il primo sintomo. Il medico, spesso per problemi che sovrastano o esulano dalla professione, perde l’attenzione al singolo paziente, ma desidera solo essere “ubbidito”. Ordinare anziché convincere porta, inevitabilmente, a scelte da medicina difensiva. Attenzione!
Autore: Carla Fiorentini 12 maggio 2024
L’ultimo articolo dedicato ai comportamenti per ascoltare
Autore: Carla Fiorentini 28 aprile 2024
Prosegue l’analisi dei comportamenti ottimali per l’ascolto.
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