I testi di management e leadership raccontano tanti diversi stili di gestione e si discute dell’efficacia di ciascuno. Tra corsi aziendali, curiosità personale e necessità professionale li ho studiati e, naturalmente, mi sono fatta le mie opinioni.
C’è però uno stile di management che non viene citato nei testi, non viene studiato, ma viene messo in pratica spesso: il management per paura.
È un modalità di gestione che sfrutta e crea paura nelle persone che vengono gestite, e funziona.
Mi dispiace ammettere che funziona. Ad essere onesta, nel dover ammettere che funziona mi si rivolta proprio lo stomaco.
Lo incontriamo, spesso.
È da condannare?
Eppure il sistema funziona, e anche bene. Quando, in azienda, arrivò un amministratore delegato che governava tramite la paura il fatturato aumentò in maniera notevole e il successo, dimostrato con i risultati economici, rendeva tutto questo legittimo.
Fa un po’ orrore?
Secondo me sì, ma ben pochi si opposero, anche in piccolissime cose.
Pochissimi tra le figure intermedie cercarono di continuare a trattare con rispetto i propri dipendenti. Così la gestione per paura divenne un fenomeno a cascata. E il fatturato aumentava.
La gestione attraverso la paura non è un gioco al massacro: è il gioco dei bulli.
Nasce dal concetto che o si vince o si perde, è l’annullamento della negoziazione, il trionfo del compromesso bieco (uno vince, uno perde).
Poco importa se la vittoria è a breve termine, se nel tempo il dichiarato vincitore subirà danni talvolta più gravi degli apparenti perdenti.
Il management per paura è il trionfo (secondo me solo apparente e provvisorio) di chi è disposto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi, generalmente materiali o di rivalsa / vendetta, la vittoria dei colossi con piedi di argilla e, soprattutto, può essere giocato bene solo da chi non ha il minimo valore etico.
Chi subisce può solo subire?
In apparenza sì. Sì perché una delle prime regole della gestione del potere attraverso la paura è quella di dividere le persone che potrebbero opporsi, sì perché troppi tra quelli che subiscono si adeguano al gioco e dimenticano che per quanto chi ha il potere sia potente, tanti possono sempre vincere sul singolo.
E, in ogni caso, ci pensa il tempo a far tornare i conti.