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SOFT SKILLS - Tecniche di dialogo

Ogni riunione dovrebbe essere la dimostrazione di un ottimo dialogo

Per un buon dialogo tra due persone serve l’ascolto e il desiderio di esprimersi. Certo, abbiamo molte dimostrazioni di come anche il dialogo tra due persone possa essere disastroso, ma oggi mi preme fornire qualche suggerimento per migliorare il dialogo tra un gruppo numeroso di persone: del dialogo a due, e delle liti, avremo modo di parlare in seguito.

Le riunioni sono infatti, praticamente in tutti i posti di lavoro, momenti che rischiano, di volta in volta, di essere inutili, deludenti, frustranti …

Sappiamo tutti quello che accade in molte riunioni, eppure difficilmente ci soffermiamo ad esaminarlo davvero. È come se, a riunione finita, volessimo solo rimuoverla! Oppure se ne parla a lungo, rivivendo momenti e parole, ma senza mai sfiorare la comprensione della dinamica.


Il termine dialogo deriva dal greco e vuol dire “flusso di significati”. Flusso, non stabilità. Se al termine del dialogo si è rimasti fissi sulla propria opinione iniziale, il dialogo non ha funzionato, e sostanzialmente la riunione è stata inutile (a meno che non fosse una riunione informativa, ma allora forse era più utile un comunicato scritto: meno rischi di fraintendimento e meno tempo utilizzato).

Il dialogo esiste nel momento in cui vengono esplorate le situazioni di incertezza rispetto alle quali nessuno ha delle risposte. In questo modo, si inizia a pensare insieme e non semplicemente a manifestare vecchi pensieri, nel dialogo, le persone imparano ad utilizzare del energie della diversità per sviluppare la loro saggezza collettiva” (The Systems Thinker. Volume 10 Number 1Feb 1999. DIALOGIC LEADERSHIP. William N. Isaacs)


Secondo le moderne teorie sono necessarie quattro “abilità” per sviluppare un dialogo costruttivo:

  1. suscitare l’opinione sincera delle persone
  2. ascoltare profondamente
  3. rispettare e dare credibilità legittima ai punti di vista degli altri
  4. ampliare la prospettiva e la consapevolezza

L’insieme di queste caratteristiche, e la capacità di suscitarle negli altri, viene definito “leadership dialogica


Un altro elemento importante da conoscere, e faccio sempre riferimento alla leadership dialogica, è il “ruolo” che le diverse persone hanno o possono assumere durante un dialogo costruttivo. In un certo senso, è come giocare ai quattro cantoni …

  • Qualcuno, per carattere, abitudine o ruolo, lancia un’idea, un concetto, una proposta. Viene definito “colui che muove
  • Qualcuno, per carattere, abitudine o ruolo, approva e conferma. Viene definito “colui che segue
  • Qualcuno, per carattere, abitudine o ruolo, si oppone, critica, trova i punti deboli di ciò che è stato detto. Viene definito “colui che si oppone
  • Qualcuno, per carattere, abitudine o ruolo, è curioso, chiede. Viene definito “colui che osserva”

Se queste tendenze sono abituali, e in linea di massima riusciamo facilmente a dare un volto o il nome di un collega a ciascuno dei quattro ruoli, dobbiamo anche essere consapevoli che i guai insorgono quando c’è qualcosa che non funziona nei ruoli stessi o nelle dinamiche.

Vediamo cosa può succedere e, a giudicare dalle riunioni a cui ho assistito in vent’anni d’azienda, qualcosa succede quasi sempre.

Ruoli giocati malamente

  • Chi muove si limita a buttar lì qualcosa, senza motivarla o senza essere sincero fino in fondo. Se chi muove ha il potere gerarchico per farlo, sono le classiche situazioni in cui una circolare sarebbe più utile di una riunione.
  • Chi segue approvare, ma ha praticato un ascolto selettivo (ha ascoltato solo quello che voleva, o che gli andava bene)
  • Chi si oppone si limita al rifiuto, senza motivare
  • Chi osserva si estranea

Ruoli troppo rigidi

  • Chi muove lancia un’idea dopo l’altra, impedendo di fatto il dialogo. Oppure chi muove potrebbe diventare oppositore ad ogni ipotesi di ampliamento o miglioramento.
  • Chi segue si limita ad approvare, ma non aggiunge nulla (anche se talvolta parla a lungo)
  • Chi si oppone … si oppone drasticamente e costantemente, ma non ascolta
  • Chi osserva continua a porre domande vuote, senza aiutare al reale chiarimento della situazione

Carenza di ruoli

  • Chi muove deve essere realmente propositivo, fornire ipotesi concrete e circostanziate, benché migliorabili e flessibili
  • Spesso chi segue si sente “il lecchino della situazione”, e talvolta l’abituale yes man pensa di essere colui che segue. Se ci sono persone di questo tipo, il reale follower si sente totalmente inibito ed evita di svolgere il suo ruolo.
  • Chi si oppone potrebbe essere ritenuto il piantagrane del gruppo, così lascia la posizione scoperta
  • Chi osserva dovrebbe avere la capacità di visione sistemica e l’abilità di vedere le conseguenze a breve e a medio termine. Non è facile trovare persone di questo tipo, e spesso viene impedito loro di esprimersi poiché vedono correlazioni a cui gli altri non hanno minimamente pensato.

Se il dialogo fluisce, se i ruoli sono presenti, ben giocati, la conclusione è più o meno diversa dall’ipotesi iniziale, ma è sostenuta da tutti e resa più solida e positiva dal contributo di tutti. Se qualcosa non funziona … il leader dialogico mette in gioco le sue capacità di facilitazione e, sostenendo o modulando i diversi ruoli, rende il dialogo produttivo.

Vi ricordo che … la leadership dialogica può essere imparata, così come le tecniche e le skills di facilitazione.

Buon lavoro!

Autore: Carla Fiorentini 27 gennaio 2025
Se due individui sono sempre d'accordo su tutto, vi posso assicurare che uno dei due pensa per entrambi. - Sigmund Freud.
Autore: Carla Fiorentini 19 gennaio 2025
La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
Autore: Carla Fiorentini 13 gennaio 2025
A quasi tutti è capitato di dirlo o di sentirselo dire: facciamo qualche riflessione in merito.
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Anche quest’anno arriva il Natale, il primo senza Francesco, ma non è tempo di rimpianti o malinconie. È tempo di sogni e speranza, come deve essere il Natale.
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