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Preferisci la teoria o la pratica?

Qualcuno preferisce la teoria, qualcuno vuole solo la pratica…

Oggi mischiamo un po’ le cose, parlando di quello che, secondo me, è un limite che l’essere umano si auto-impone un po’ troppo spesso.

Qualunque sia il tema dell’apprendimento, e non solo, qualcuno preferisce la teoria, le regole, e qualcuno la pratica, i tentativi. Forse te lo ricordi dai tempi della scuola, forse lo sperimenti ancora, ciascuno ha preferenze e spesso un vero blocco all’apprendimento che questo non segue la strada preferita.

La programmazione neurolinguistica fornisce una sorta di motivazione: il filtro sensoriale prevalente, di cui ho parlato spesso. Il cinestesico ha bisogno di provare, sperimentare, mettere le mani in pasta, e senza pratica impara con estrema fatica. L’uditivo ha bisogno di teoria, concetti chiari e logici, una sequenza di spiegazioni, e in genere predilige la teoria.

Ma credo ci sia dell’altro.

In realtà la teoria senza la pratica diventa pura filosofia e, per quanto interessante, è limitante nell’apprendimento. Vale anche il contrario, la pratica senza la teoria rischia di essere un costante tentativo non riproducibile, e talvolta un grande pasticcio.

Se ci pensi, non può essere altrimenti: imparare vuol dire conoscere la teoria e mettere in pratica ciò che si conosce.

E allora perché molti si ostinano a voler seguire solo una strada?

Credo che a monte, all’origine, ci sia l’abitudine mentale della nostra cultura di vedere tutto in bianco o nero, giusto o sbagliato, con dicotomie rigide.

Non è così in altre culture: basta pensare allo yin e yang della cultura cinese.

Ci ostiniamo a lasciare indietro una parte di noi. Non dico di rinunciare a ciò che preferiamo, ma di completare il puzzle.

Ricordo, ad esempio, un’insegnante di matematica e fisica che nel raccontare formule, teoremi ed equazioni diventava quasi poetica, guardando con disprezzo chi chiedeva a cosa servivano, mentre nello spiegare la parte di fisica sperimentale aveva lo sguardo annoiato e un po’ perso. Ovvio che, con questa situazione, fosse amata e seguita da chi amava le stesse cose e destata da chi pensava diversamente.

Imparare significa rimanere giovani, contrastare l’invecchiamento cerebrale: è noto a tutti. Ma imparare davvero vuol dire uscire da dicotomie e schemi rigidi e fare nostre sia la teoria che la pratica, e ampliare noi stessi.


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Ero in farmacia, in attesa. Un’attesa piuttosto lunga visto che si trattava di una farmacia che fa il servizio di prenotazione degli esami e delle visite. Mi annoiavo ed ho cominciato a guardarmi attorno e, confesso, ad ascoltare le chiacchiere degli altri utenti in attesa. Mi ha fatto piacere incontrarti, ma perché vieni in questa farmacia? Non c’è la farmacia XXX più vicino a casa tua ? Sì, la farmacia XXX è decisamente più vicina, ma qui sorridono. Lì sono sempre scorbutici e a volte rispondono anche scocciati se chiedi informazioni. Forse è perché … Ecco. Smetto di ascoltare, e non saprò mai il presunto motivo per cui, nell’altra farmacia, sono scorbutici. Il dialogo è stato illuminante soprattutto per chi, come me, si occupa di comunicazione e management. Mi occupo, e preoccupo, di insegnare tecniche, di cercare le parole giuste, di spiegare modalità di comunicazione, di identificare esempi e suggerimenti, di incrementare hard skills e soft skills, ma ci si dimentica dell’essenziale: il sorriso . Entrare in farmacia, per qualunque motivo, e trovare il farmacista che sorride è un validissimo motivo per scegliere una farmacia invece di un’altra, magari più comoda. Però, attenzione, deve trattarsi di un sorriso vero. Esiste una netta differenza tra un vero sorriso e uno falso, voluto, determinato da movimenti volontari dei muscoli facciali. La differenza è dimostrabile tecnicamente, e per moltissime persone è percepibile a livello inconscio. Il farmacista che sorride non fa una smorfia movimentando le labbra all’insù: sorride veramente. Eppure anche il farmacista può avere problemi personali, attraversare un periodo nero, essere triste o preoccupato. Ciò che spesso dimentichiamo è che siamo noi ad avere uno specifico stato d’animo, e invece spesso ci comportiamo come se fosse lo stato d’animo, soprattutto se negativo, ad avere il pieno possesso di noi. È assolutamente possibile accantonare uno stato di infelicità per un certo periodo, dando spazio a veri sorrisi. Come? Qui le tecniche, gli esercizi e le riflessioni contenuti anche in questo sito, possono essere di aiuto: pensieri felici, meditazione, comunicazione, possono fare la differenza, quando è necessario. Ma il primo passo è personale: bisogna volerlo. Per quanto storte vadano le cose, ogni tanto si può dare una vacanza al dolore, dedicarsi agli altri, anche fornendo sorridendo la medicina prescritta o il consiglio richiesto.
Autore: Carla Fiorentini 15 settembre 2024
Da molti anni il mondo delle aziende utilizza quello che viene definito management by objective : gestione per obiettivi . Si tratta di definire uno o più obiettivi e perseguirli per un certo periodo di tempo. La scuola si è poi adeguata, anche se non sempre parla di obiettivi o di piani strategici, ma si affida ad una serie di sigle e burocrazie che, più o meno, hanno la stessa funzione. Parlare quindi di obiettivi per il nuovo anno scolastico è del tutto legittimo. Eppure … La gestione per obiettivi ha, da tempo, evidenziato una serie di limiti e problemi nel mondo aziendale , ed è triste vedere la scuola che, in ritardo, si adegua ad imitare anche gli errori dell’industria. Attenzione, però, non prendere questo come una scusa per non pianificare il nuovo anno alle porte, anzi. Si tratta di aggiungere, non di togliere. Se mi seguite sapete bene che io mi fisso una serie di obiettivi, in diverse occasioni, dunque apparentemente faccio qualcosa che ho appena dichiarato inutile. Dov’è il trucco? Gli obiettivi servono, funzionano, hanno un senso solo se inseriti in un contesto di Vision, cioè di aspirazione e desiderio globale di realizzazione di qualcosa di importante. La Vision offre il contesto da realizzare, gli obiettivi discendono da questo e permettono, a loro volta, di tradurre in azioni pratiche e giungere alla realizzazione concreta. Il consiglio è quindi di utilizzare queste ultime settimane prima dell’inizio delle lezioni per identificare la vostra Vision, in vostro sogno per il nuovo anno. Ti chiedi quali sono le differenze sostanziali tra obiettivi e vision? La risposta, per quanto limitata all'essenziale, è nella vignetta qui sotto. Gli obiettivi sono, sostanzialmente, contenuti anche nei programmi ministeriali. Personalmente suggerisco di dedicare un po' di tempo a ragionarci su, declinarli, scriverli con un linguaggio che risuoni. Tuttavia gli obiettivi sono fortemente razionali: cosa insegnare, come, in quali tempi, quali livelli di conoscenza far sviluppare negli studenti... In pratica, gli obiettivi servono per riempire il secchio delle competenze. La vision è il sogno da condividere e realizzare insieme alla classe, e ad ogni singolo studente. In pratica, quale fuoco accendere. Nella vision possiamo stabilire che tipo di atmosfera vogliamo creare, quali valori desideriamo trasmettere, che insegnante desideriamo essere, quale impronta lasciare per il futuro della classe e di ogni singolo studente, e molto altro.
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