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Obiettivi individuali

Definizione degli obiettivi individuali

La Storia
Andrea, da poco nominato direttore nella farmacia dove lavorava, che fa parte di un importante gruppo, incontra i collaboratori per definire gli obiettivi individuali. La prima è Anna, che in un incontro precedente aveva espresso alcune riserve.
Andrea:
Allora, Anna, eccoci qui. Come avevo detto vorrei che ciascuno avesse obiettivi personali, sfidanti, ma raggiungibili.
Hai suggerimenti, idee?
Anna
Hai detto che c’è un obiettivo di incremento del fatturato. Di quanto?
Dell’8%, ma non è il solo obiettivo della farmacia.
Bene: siamo 4 collaboratori. Se ci prendiamo il 2% ciascuno, il gioco è fatto!
Non è proprio così. Dimentica per un momento la percentuale di incremento e ragioniamo. Tu sei arrivata da poco, e hai esperienze in altre farmacie. Quale pensi possa essere il tuo peculiare contributo alla crescita del nostro gruppo, della nostra farmacia?
Non saprei, e soprattutto non voglio fare la prima della classe in un ambiente nuovo. È vero che ho lavorato in altre farmacie, ma due degli altri hanno più esperienza di me.
Tra noi non ci sono primi della classe, ma so che ciascuno ha delle conoscenze o delle capacità particolari. Quali sono le tue?
Vediamo … amo gli animali e conosco bene i problemi di cani e gatti.
Splendido! Potresti quindi rivedere il nostro reparto veterinario? Ed essere la nostra esperta in questo settore? 
Sì, certo, ma questo come può aiutarti? E può essere un obiettivo?
Domande
  • Cosa pensate dell’approccio di Andrea?
  • Quali caratteristiche deve avere un obiettivo?
  • L’impegno preso da Anna come può essere formulato per diventare un obiettivo?
Risposte
Cosa pensate dell’approccio di Andrea?
Secondo me l’approccio di Andrea è quello corretto.
Quali caratteristiche deve avere un obiettivo?
Un obiettivo ben formulato deve essere SMART:
S = Specifico
M = Misurabile 
A = Attraente
R = Ragionevole
T = Temporizzato 
Deve quindi essere espresso in maniera da non poter essere equivocato, facendo chiaro riferimento a qualcosa di specifico e di concreto.
Deve poter essere misurato. Lo strumento di misura può essere scelto di comune accordo, ma deve essere uno strumento indiscutibile e numerico.
L’obiettivo deve “piacere” sia a chi lo persegue che a chi lo controlla. Lavorare per obiettivi deve migliorare la qualità e la quantità di lavoro, e ciascuno solitamente mette più energia e passione nel fare qualcosa che piace.
Ragionevole significa raggiungibile, ma anche sfidante. I due estremi, obiettivi irraggiungibili o obiettivi troppo facili da raggiungere, mettono le persone nelle condizioni di non impegnarsi.
Temporizzato significa che deve essere specificata una data entro cui l’obiettivo deve essere raggiunto. Inoltre, e si ritorna alla misurazione, è opportuno che gli strumenti di misura e controllo permettano non solo la valutazione finale, ma anche un monitoraggio dell’obiettivo stesso. Se questo è complesso, o impossibile, si possono definire dei sotto obiettivi.
L’impegno preso da Anna come può essere formulato per diventare un obiettivo?
Le possibilità sono diverse.
Ad esempio potrebbe essere:
Aumentare entro un anno del 10% il fatturato del reparto veterinario operando una analisi delle vendite dello scorso anno, da condividere mediante relazione scritta, e una ristrutturazione del reparto entro 4 mesi.
Avete altre ipotesi? Parliamone!


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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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