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Importanza di ascoltare

Abbiamo progressivamente dimenticato l’importanza di ascoltare.

Persino i bambini, ottimi ascoltatori per istinto, vengono sempre più raramente sollecitati all’ascolto della favole, ma portati alla visione, più o meno distratta, di favole bellissime rese a cartoni animati.

Il progressivo decadimento dell’ascolto è, almeno secondo me, il difetto della nostra era di social network e tecnologia.

E le conseguenze sono rischiose, anche per la nostra salute.


Mi rendo conto che quando scrivo dell’importanza di ascoltare rischio di risultare anacronistica e nostalgica.

Ma provate ad immaginare di raccogliere dai vostri pazienti un elenco di sintomi privati di ogni inflessione emotiva, cioè privi di quegli elementi che vi permettono di capire istintivamente cosa li spaventa, cosa li mette in stato ansioso, o anche quale dei sintomi è più rilevante. Molti dei miei amici medici avrebbero qualche difficoltà aggiuntiva a fare diagnosi o a scegliere la terapia più adeguata.

D’altra parte una raccolta di sintomi e di esami senza la possibilità di ascoltare il paziente è esattamente equivalente a riempire una serie di caselle al computer, computer che poi può elaborare il tutto e trarre conclusioni e addirittura indicare quale farmaco potrebbe essere più idoneo. E forse il computer sarebbe più veloce di un medico, e potrebbe persino avere a disposizione più informazioni di quelle che ha il medico accedendo a database più completi rispetto a quanto un individuo può ricordare.

La vera abilità diagnostica e terapeutica del medico o, per essere più precisi, la superiorità del medico rispetto ad un’elaborazione computerizzata delle informazioni è l’impalpabile capacità del medico di ascoltare il paziente, selezionando informazioni …


Un tempo, e parlo di un tempo non tanto lontano, il potere era nella quantità di informazioni che si riuscivano a raccogliere. Io e la mia generazione siamo stati educati così: i più bravi trovavano più informazioni. Anche quando ho iniziato a lavorare la quantità di informazioni reperibili era limitata, ed era sulla quantità di dati che riuscivamo a trovare che venivamo messi alla prova.

Internet ha cambiato tutto. Qualunque cosa digitiamo sui motori di ricerca troviamo, in pochissimi secondi, migliaia di pagine e milioni di informazioni. La bravura, oggi, si misura nella capacità di selezionare le informazioni più utili, o quelle più vere e più documentate. È un totale cambio di paradigma.


Ed è fondamentalmente ironico che in una società che sottovaluta l’ascolto sia proprio la capacità di ascoltare quella in grado di fare la differenza. Perché l’unico modo di selezionare le informazioni è proprio praticare l’ascolto profondo, quello capace di ascoltare anche le parole scritte, quello capace di ascoltare non solo con le orecchie.

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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