Il medico e l’ascolto 5° parte

L’ultimo articolo dedicato ai comportamenti per ascoltare

Gli ultimi comportamenti che rendono valido l’ascolto sono particolarmente interessanti anche per alcune implicazioni più ampie che possono essere chiamate in causa.

  • Guardare gli interlocutori negli occhi. È noto a tutti che è buona norma guardare l’interlocutore negli occhi: si crea un legame, si dimostra rispetto, si possono osservare le microespressioni.
  • Però … Se il colloquio si svolge per telefono, come spesso accade? In questo caso è la comunicazione paraverbale che in qualche modo supplisce la mancanza di contatto visivo. Diventa quindi particolarmente importante adeguare “l’etichetta”
  • evitare di fare altro durante la telefonata: in maniera impercettibile, o magari solo inconscia, l’interlocutore se ne accorge e si sente poco ascoltato
  • sorridere: molti esperimenti dimostrano che la maggior parte delle persone sa identificare, parlando al telefono, se l’interlocutore è sorridente o infastidito

E cosa fare quando gli interlocutori sono più di uno, come può capitare in un incontro tra medico e paziente? Inutile dire che la faccenda si aggrava, ed entrano in gioco dinamiche talvolta molto complicate. Teoricamente potremmo dire che il contatto oculare va equamente suddiviso, ma questa è un’affermazione fin troppo banale.

  • Nella pratica bisogna distinguere il tipo di relazione che esiste tra i due interlocutori. Se il paziente è “infastidito” dal suo accompagnatore (come può accadere se il paziente è un adolescente accompagnato dai genitori, o se siamo in presenza di un paziente con un coniuge ingombrante) è importante che il contatto sia con il paziente stesso, mentre l’accompagnatore viene solo “tenuto sotto controllo” affinché non crei problemi. Ma se il paziente è invece accompagnato perché è in ansia, o perché teme di non ricordare le indicazioni che riceve, diventa opportuno dedicare il contatto oculare al paziente durante l’anamnesi, e all’accompagnatore quando si danno le indicazioni terapeutiche. 

Come ho detto, la situazione è complicata, e non bastano poche righe per sviscerarla, ma solo fornire qualche spunto di riflessione.

E ancora: se il medico prende appunti mentre il paziente parla, come fa a mantenere il contatto oculare?

  • In questo caso è sufficiente dire chiaramente che si prenderanno appunti per memorizzare meglio. (in realtà è ottimale chiedere: le spiace se prendo appunti intanto che lei mi racconta? Così memorizzo meglio) Ma bisogna ricordare che il contatto oculare va invece instaurato ogni volta che il medico fa una domanda o dice qualcosa al paziente. 

Fare domande per verificare le informazioni che risultano dubbie o poco chiare: sembra assolutamente pleonastico ricordarlo, ma, credetemi, non è così ovvio. Molti pensano che basti la domanda, qualunque sia, ma scegliere la domanda giusta, e formularla nel modo più utile, non è così semplice.

  • Le domande aperte generano spesso risposte lunghissime, e talvolta ancora più confuse della prima asserzione.
  • Le domande che iniziano con “perché” sono spesso vissute come inquisitorie, soprattutto in colloqui come quello tra medico e paziente, o capo e dipendente, o insegnante e studente.
  • Le domande chiuse inducono spessissimo a risposte laconiche “sì o no”, ma non è detto che l’interlocutore abbia capito davvero la domanda.
  • È quindi buona norma allenarsi a porre quelle che vengono definite “domande strategiche” (una specifica modalità per formulare le domande) o chiedere di portare un esempio o una metafora per chiarire il concetto espresso, o ancora porre la domanda strategica suggerendo una metafora.

Distinguere i fatti dalle opinioni espresse dall’interlocutore. Anche questa asserzione può sembrare sciocca. Ne siete convinti? Ma se un paziente vi telefona dicendo “che ha la febbre” lo considerate un fatto o un’opinione?

  • Se lo prendete per un fatto, potreste incorrere in qualche confusione. Avere la febbre è un’opinione. Essersi misurati la temperatura e averla di 39° è un fatto, che induce all’affermazione di avere la febbre. 
  • Per semplificarci la vita, possiamo dire che tutto ciò che può essere fotografato o disegnato è un fatto, mentre ciò che non può essere disegnato, filmato, fotografato è un’opinione. Credetemi, questa distinzione mi ha salvato parecchie volte!

Chiedere con calma chiarimenti su vocaboli o espressioni che infastidiscono. 

Aspettare di aver capito e chiarito ciò che l’interlocutore intende prima di reagire

Gli ultimi due comportamenti meritano di essere esaminati insieme. Qui entriamo infatti nel grande capitolo di prevenzione delle liti inutili, ma soprattutto affrontiamo il tema dell’essere reattivi anziché proattivi. Lo stile di vita che abbiamo sviluppato è reattivo, e ciò è strettamente correlato allo stress che viviamo o subiamo. Lo stile di vita proattivo è almeno altrettanto dinamico, ma decisamente più sano e costruttivo. Sul vivere in maniera proattiva sono stati scritti due dei testi più antichi e più ricchi di saggezza dell’umanità: il cinese I Ching (chiamato anche Libro dei mutamenti) e la Kabbalah ebraica: vi rimando a loro, ne sanno decisamente più di me!


Autore: Carla Fiorentini 19 ottobre 2025
La sofferenza aiuta a crescere
Autore: Carla Fiorentini 19 ottobre 2025
Quando si parla di rinnovare la scuola, soprattutto la scuola dell’obbligo, sento che alla base c’è un grande equivoco, un enorme fraintendimento che vanifica qualunque buona intenzione. Lo so: non ho alcun titolo per fare questa affermazione. E infatti il mio non è un giudizio, ma una riflessione, che pure sento condivisa da tanti insegnanti sicuramente volonterosi e scrupolosi, e dubbiosi sul loro futuro e su quello dei loro studenti. Come dice Snoopy “ educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco ”. Ci sono altre frasi, altri dotti autori, che nel tempo hanno affermato lo stesso concetto: mi piace riprendere le parole di Snoopy perché hanno tutta la saggezza dei nostri bambini. I politici, deputati a fare la riforma scolastica o almeno a prendersi cura della scuola, continuano ad affermare che la scuola deve preparare al mondo del lavoro, deve formare i ragazzi per il futuro. L’equivoco è proprio qui. È vero che la scuola deve preparare i ragazzi, è vero che la scuola può e dovrebbe fornire tecniche, strumenti, mezzi per il futuro e per il mondo del lavoro. Ma pensiamo un attimo alla differenza del mondo del lavoro tra quando andavamo noi a scuola e quando poi siamo andati a lavorare, o alla differenza della società tra quando abbiamo iniziato a lavorare e oggi. C’è un abisso! Ci sono differenze enormi. E l’accelerazione ai cambiamenti a cui assistiamo fanno pensare che tra oggi e il 2030, 2040, quando andranno (speriamo) a lavorare i ragazzi che oggi sono alle scuole elementari le differenze saranno davvero impensabili. Come possiamo preparare i bambini ad un futuro che ci è totalmente ignoto, ad un mondo del lavoro che non conosciamo? Le differenze tra l’oggi e i successivi 15-20 anni erano molto meno marcate 30 o 50 anni fa. Non possiamo preparare gli studenti di oggi al mondo del lavoro del futuro, semplicemente perché non sappiamo quale sarà il mondo del lavoro in futuro. Quello che possiamo (e, credo, dobbiamo fare) è mettere gli studenti di oggi in condizione di costruirsi il futuro, di affrontare al meglio il mondo del lavoro e la loro vita futura. Dobbiamo fornire le basi affinché abbiano voglia di impegnarsi per creare un futuro e una società migliore, migliore anche di quella che gli stiamo mostrando oggi. Oggi, più che mai, dobbiamo trasmettere un fuoco di cultura vera, creativa, gioiosa. Se per farlo è necessario aumentare le tecnologie a scuola (ed è necessario) gli insegnanti dovranno impegnarsi per apprenderle e usarle. Ma ricordando che la tecnologia è un mezzo, non un fine . La scuola non prepara al futuro: la scuola prepara il futuro se costruisce cittadini consapevoli, preparati, fiduciosi, collaborativi, curiosi, colti, uomini e donne ricchi di valori e di cultura.
Autore: Carla Fiorentini 12 ottobre 2025
Se facessimo una classifica di pazienti modello gli italiani non sarebbero certo ai primi posti, lo sappiamo da anni. Sappiamo che gli italiani si auto riducono i dosaggi, terminano le cure prima di quanto ha detto il medico, non rispettano le posologie, … Ora, a tutto questo, si è aggiunta una sorta di auto-riduzione dei farmaci prescritti. Ma il vero problema è che ora tutto ciò che già accadeva, e molto di più, è originato dalle difficoltà economiche in cui versano molti italiani. E se prima le autoriduzioni di posologia o durata della terapia erano frequenti soprattutto nelle patologie acute, oggi la rinuncia alla terapia, o la sua drastica riduzione, avviene soprattutto nelle patologie croniche. E raramente il medico è a conoscenza della situazione: il paziente non ha la forza, o il coraggio, di dichiarare al medico la sua realtà. Ancora una volta, dunque, è il farmacista colui che ha maggiormente il polso della situazione, e che è chiamato, sebbene non ufficialmente, a supportare il paziente. Cosa può dunque fare il farmacista? Il mio parere personale è di creare una vera e propria rete di allerta, sostegno e valutazione che coinvolga il farmacista “di quartiere” e il medico di base, che abbia anche la possibilità di intervento reale nel fornire farmaci a chi, davvero, rinuncia alle terapie per motivi economici. È un sogno, lo so. Rimanendo su azioni concrete credo che il farmacista possa fare molto con le sue capacità di sostegno e consiglio, senza sostituirsi al medico. Credo anche che il futuro sia nello sviluppo di competenze di coaching per il medico e il farmacista. Competenze che permettono di motivare il paziente, supportarlo durante la terapia, finalizzare le cure, e ridurre anche i costi in numerose sfaccettature del sistema sanitario consentendo così di ricavare risorse per fornire terapie totalmente gratuite a chi, altrimenti, non può permettersele. Un sogno anche questo, ma più facile da raggiungere rispetto al precedente.
Autore: Carla Fiorentini 28 settembre 2025
Non è, ovviamente, mia intenzione dare consigli su rimedi della nonna, antiche ricette o terapie alternative, ma solo riflettere, e farvi riflettere, su come rispondere al paziente che vi racconta di cure di supporto che, a lui, appaiono tanto efficaci. Le situazioni sono molteplici, e i rimedi sono infiniti. Si va dai consigli alimentari alle cure palliative, dai decotti alle sciarpe rosse: si usa di tutto e si sente di tutto. Talvolta sono i rimedi della nonna, altre volte sono antiche ricette lette su qualche rivista di salute, o consigli letti sul web o ricevuti da qualche amico. Siatene certi: la maggior parte dei vostri pazienti fa uso di qualche rimedio, integratore, elemento salutistico o alimento prodigioso, sia che ve lo racconti sia che stia in totale silenzio . Ci sono gli alimenti salutari, le medicine alternative, i rimedi tramandati in famiglia, le pubblicità … È chiaro che il medico dovrà valutare caso per caso, ma ci sono alcune raccomandazioni (dettate dal buon senso, oltre che dallo studio della comunicazione) che valgono sempre. Il primo consiglio è che è sempre meglio sapere tutto quello che il paziente assume o fa, soprattutto se siete il medico di famiglia che tiene le fila della sua storia clinica. Se contestate, sminuite, rifiutate o ridicolizzate ogni rimedio che i vostri pazienti ritengono efficaci ciò che otterrete non sarà l’eliminazione delle aggiunte, palliative o terapeutiche, ma solo e semplicemente il paziente smetterà di raccontarvi ciò che assume . Il secondo consiglio, strettamente correlato al primo, è che l’effetto placebo, nelle sue diverse forme, è un fattore fondamentale per la guarigione, di qualunque malattia. Visto che parliamo di rimedi della nonna citerò le parole di mia nonna, quando mi trovò (avevo circa un anno) a mangiare i chicchi d’uva raccolti da terra poiché non arrivavo ai filari: quel che non strozza, ingrassa. Quello che non fa male, va bene. Imparate quindi ad accettare quei rimedi che non fanno alcun danno, e accettateli di buon grado. Eliminate, invece, drasticamente ciò che è rischioso o, meglio ancora, sostituitelo con qualcosa che sia innocuo o davvero di supporto. Potrete così mantenere alto l’effetto placebo e, contemporaneamente, conservare la fiducia del vostro paziente e un alto livello di dialogo.
Autore: Carla Fiorentini 28 settembre 2025
Un pizzico di teoria utile in un video
Autore: Carla Fiorentini 7 settembre 2025
Dal mio libro Quattro passi in galleria- quando non vedi la fine del tunnel, arredalo , che si può acquistare on line oppure ordinare in libreria, Il racconto del momento in cui sono stata costretta a tagliare i capelli, che sarebbero caduti (tutti!) con la chemioterapia
Autore: Carla Fiorentini 7 settembre 2025
Riflessioni
Autore: Carla Fiorentini 4 settembre 2025
Dopo una laurea in chimica e tecnologie farmaceutiche e oltre 20 anni di carriera in aziende farmaceutiche multinazionali, e continuando ad aggiornarmi anche da quando faccio la libera professione, credevo si sapere molto sui placebo e sull’effetto placebo. Ma questo libro mi ha affascinato e fatto fare nuove scoperte fin dalle prime pagine. I suoi pregi sono moltissimi. I pregi pratici: è piccolo, leggero, economico. Può essere messo in borsa e letto ovunque. E anche queste piccole cose non sono da sottovalutare. È scritto benissimo. Si pone l’obiettivo di essere un testo divulgativo, e lo è davvero . Ricchissimo di cultura e di riferimenti storico – letterari – filosofici manca totalmente di pomposità o frasi contorte che spesso si trovano in questo tipo di libri. Qui c’è la cultura vera. Einstein diceva “ Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna ”, affermazione che condivido appieno perché chi sa davvero sa anche semplificare i concetti. Fabrizio Benedetti sa. Sa spiegare, sa affascinare. E il libro è anche affascinante per i contenuti, il rigore scientifico. È imperdibile per tutti coloro che lavorano in ambito salute, ed è utile per tutti.
Autore: Carla Fiorentini 4 settembre 2025
Il titolo completo del libro è Intelligenza emotiva Cos’è e perché può renderci felici. Daniel Goleman è sicuramente il più autorevole esperto mondiale di intelligenza emotiva. Il libro viene talvolta dichiarato “fuori catalogo”, ma vi assicuro che si trova ancora, sia in libreria che per gli acquisti on line. Queste le notizie pratiche. E poi, che dire? È interessante, scritto bene, leggibilissimo. E, soprattutto, imperdibile per chiunque abbia interesse per le relazioni umane, per chi educa, collabora o guida altri esseri umani.
Autore: Carla Fiorentini 30 agosto 2025
Un libro meraviglioso e, credo, particolarmente utile in questo periodo in cui la scuola va protetta, ripensata, resa più utile…
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