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Il cammino delle panchine e una personale lettura

Un'iniziativa e un percorso davvero speciali

Ho preso parte anch’io all’organizzazione del cammino delle panchine, sul Lago di Scanno, lanciato da Digital bench. Poi problemi di famiglia mi hanno impedito di partecipare e so bene che per molto tempo mi sarà impossibile percorrere fisicamente quel cammino. Piena di invidia (in senso buono, però!) ho seguito gli amici nel percorso e nei racconti successivi, beneficiando anche della partecipazione alla chat.
Assolutamente inevitabile che i miei cervelli (testa, cuore e pancia) facessero una loro elaborazione e parecchie elucubrazioni, mischiando e miscelando cammino ed esperienze, facendo qualche scoperta e qualche volo pindarico.
E, se volete, ora vi subite le mie elaborazioni.
È indubbio che il cammino delle “provochi” due risultati: tocca profondamente l’anima di chi lo percorre e consolida fortemente il gruppo. È quindi raccomandabile sia come percorso di crescita personale che come team building. Già, ma perché?
  • Credo che il cammino delle panchine possa essere letto come un concreto viaggio dell’eroe. 
Sì, lo so, parlo spessissimo del viaggio dell’eroe, e quasi sempre come strumento per gestire ed elaborare esperienze difficili, ma questa è solo una parte del viaggio, per quanto utile e affascinante. C’è di più: c’è il viaggio della vita e della crescita personale, all’interno del quale si trovano gli archetipi e la loro elaborazione. Vediamo dunque il VIAGGIO, e le panchine.
  • L’eroe sente una chiamata, e sceglie se accettarla o rifiutarla. Per quasi tutti noi, eroi della panchina digitale, la chiamata è arrivata durante il lockdown con le iniziative IOSOSTARE, Il passo della sosta e i corsi dell’Accademia. È chiaro che abbiamo accolto la chiamata!
Per qualcun altro la chiamata è giunta con Il cammino delle panchine, ed è stata accolta.
Accogliere la chiamata è una ben precisa scelta, che va compiuta consapevolmente perché il viaggio è comunque un’impresa.
Il passo successivo è quello di varcare la soglia, e iniziare il viaggio. Solo chi accetta di ESSERE, ed esplorare il suo essere, varca realmente la soglia: e siamo alla prima panchina.
  • Chi inizia il viaggio trova un custode o, meglio, più di uno. Custode, o mentore, si tratta di una guida e un sostegno. E sì, certamente i compagni di viaggio sono e sono stati custodi l’uno dell’altro, ma penso che il primo custode sia, per tutti noi, il padre di Caterina che ha ispirato il progetto di Digital Bench e nel cui negozio, ora sede di Digital Bench, è terminato il viaggio.
E poi? Il viaggio dell’eroe prevede di affrontare i propri demoni e le proprie ombre e coltivare il sé interiore profondo per giungere a trasformare. Ed eccoci alle panchine Creare, Includere, Trasformare, Ascoltare.

Ma il viaggio non finisce se non si torna a casa e nel viaggio dell’eroe come descritto da Carol Pearson o da Robert Dilts si torna davvero a casa solo se si è disposti a condividere e raccontare l’esperienza: a DIVULGARE. E, forse vi sembrerà strano, ma questo concetto è espresso ripetutamente anche negli esagrammi dell’I Ching: si impara per crescere e per trasmettere. 
Eppure divulgare in fondo non basta: durante il viaggio si impara quanto sia importante eliminare maschere e falso sé, quindi il viaggio può dirsi davvero concluso quando siamo capaci di donare (l’ultima panchina) non più una storia o qualcosa di materiale, ma il nostro vero essere, aiutando così altri a trovare la forza di varcare la soglia e iniziare il viaggio.
Ed ecco perché dal cammino delle panchine si torna trasformati.
  • E il team building?
Neanche da chiedere! Avete mai visto o letto di un viaggio dell’eroe dove non ci fossero compagni di viaggio, a partire da Il signore degli anelli, Harry Potter o Guerre Stellari?
Il team building c’è, ed è profondo e solido. L’unica avvertenza? Ricordare, al termine del viaggio, la tappa dell’inclusione per fare in modo che il solidissimo gruppo che si è costruito non diventi un clan chiuso di eletti che esclude i non partecipanti. E anche questo consiglio viene dall’I Ching (esagramma 37, per la precisione) o forse dal mio timore di sentirmi esclusa per la mia non presenza al cammino.

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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