Forte o fragile?

Pensi che sia meglio essere forte o fragile?

Ti consideri forte o fragile?

E gli altri ti vedono forte o fragile?

Normalmente sono ritenuta (ed etichettata) come una persona forte. Però sono una vera rompiscatole, e mi sono dilettata in osservazioni ed elucubrazioni.

Ci sono persone fragili.

Forse lo sono, sicuramente si definiscono tali. Non ce la faccio, aiutami è una delle loro frasi più comuni davanti alle difficoltà.

Trovano aiuto, sempre.

Ci sono persone forti.

Forse lo sono. Ce la posso fare è il loro mantra davanti alle difficoltà.


Si è così dalla nascita?

Direi di no. Molte persone forti lo sono diventate per le esperienze che hanno vissuto, e gli aiuti che non hanno trovato.

Spesso, poi, accade che le persone fragili non facciano neanche tentativi di affrontare le difficoltà che, inevitabilmente, la vita pone davanti. Analogamente le persone forti non sanno come chiedere aiuto e si pongono sempre come autonome e autosufficienti.

Per me ci è voluto un cancro per insegnarmi che potevo chiedere aiuto, e persino riceverlo, ma è stata una faticaccia.

L’equilibrio tra forza e fragilità è difficile e richiede, per quanto ho potuto osservare, un grande lavoro su se stessi, una buona dose di consapevolezza.

E poi, si sa, il mondo ama creare etichette, porre le persone in una specifica categoria e lasciarle lì, con quella etichetta, in quella categoria. È più facile non tener conto del fatto che ciascuno è in evoluzione continua, che si cambia, che la vita e le esperienze ci cambiano.


Ovviamente io guardo dal mio punto di vista di persona etichettata come forte.

Lo sono, ho imparato ad essere forte, ma quando mi ritrovo nella m… quelle parole che vogliono essere di incoraggiamento (dai, ce la fai, sei una donna forte) mi irritano moltissimo e, anche se so che sono dette con affetto a volte le ricaccerei volentieri in gola a qualcuno perché, nei miei momenti di massima fragilità, mi sembra che dicano: dai, non rompere, so che te la cavi da sola.

Chi si sente fragile sussurra le sue difficoltà, e trova frotte di gente pronta all’aiuto.

Chi è definito forte spesso deve urlare le sue difficoltà per far sì che qualche anima buona se ne renda conto.

O forse no: siamo noi forti che ci poniamo con atteggiamenti che rendono complesso aiutarci.

Non ho risolto il dilemma.

Tu hai un parere o un consiglio?

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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