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Forte o fragile?

Pensi che sia meglio essere forte o fragile?

Ti consideri forte o fragile?

E gli altri ti vedono forte o fragile?

Normalmente sono ritenuta (ed etichettata) come una persona forte. Però sono una vera rompiscatole, e mi sono dilettata in osservazioni ed elucubrazioni.

Ci sono persone fragili.

Forse lo sono, sicuramente si definiscono tali. Non ce la faccio, aiutami è una delle loro frasi più comuni davanti alle difficoltà.

Trovano aiuto, sempre.

Ci sono persone forti.

Forse lo sono. Ce la posso fare è il loro mantra davanti alle difficoltà.


Si è così dalla nascita?

Direi di no. Molte persone forti lo sono diventate per le esperienze che hanno vissuto, e gli aiuti che non hanno trovato.

Spesso, poi, accade che le persone fragili non facciano neanche tentativi di affrontare le difficoltà che, inevitabilmente, la vita pone davanti. Analogamente le persone forti non sanno come chiedere aiuto e si pongono sempre come autonome e autosufficienti.

Per me ci è voluto un cancro per insegnarmi che potevo chiedere aiuto, e persino riceverlo, ma è stata una faticaccia.

L’equilibrio tra forza e fragilità è difficile e richiede, per quanto ho potuto osservare, un grande lavoro su se stessi, una buona dose di consapevolezza.

E poi, si sa, il mondo ama creare etichette, porre le persone in una specifica categoria e lasciarle lì, con quella etichetta, in quella categoria. È più facile non tener conto del fatto che ciascuno è in evoluzione continua, che si cambia, che la vita e le esperienze ci cambiano.


Ovviamente io guardo dal mio punto di vista di persona etichettata come forte.

Lo sono, ho imparato ad essere forte, ma quando mi ritrovo nella m… quelle parole che vogliono essere di incoraggiamento (dai, ce la fai, sei una donna forte) mi irritano moltissimo e, anche se so che sono dette con affetto a volte le ricaccerei volentieri in gola a qualcuno perché, nei miei momenti di massima fragilità, mi sembra che dicano: dai, non rompere, so che te la cavi da sola.

Chi si sente fragile sussurra le sue difficoltà, e trova frotte di gente pronta all’aiuto.

Chi è definito forte spesso deve urlare le sue difficoltà per far sì che qualche anima buona se ne renda conto.

O forse no: siamo noi forti che ci poniamo con atteggiamenti che rendono complesso aiutarci.

Non ho risolto il dilemma.

Tu hai un parere o un consiglio?

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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