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Il medico e il viaggio dell’eroe: Martire

Il medico e il viaggio dell’eroe

Tutti noi, per le fasi della vita o nella gestione di un’esperienza o nelle abitudini di comporta-mento, possiamo riconoscerci in un archetipo. E questo vale anche per il medico, nel suo modo di gestire il paziente, e nella sua relazione con la malattia.


È praticamente impossibile che un medico si ponga nell’archetipo dell’Innocente o dell’Orfano in relazione alla malattia: queste sono fasi superate nei primi anni di università. Le uniche occasioni in cui possiamo veder spuntare l’Innocente o l’Orfano in un medico è se si trova ad affrontare la sofferenza in una persona che gli è molto cara, o la sua stessa malattia.

Ci sono, ad esempio, aneddoti che girano per le cliniche ginecologiche di direttori di clinica con esperienza trentennale che improvvisamente diventano incapaci di gesti-re un parto: quello della figlia. È chiaro che, in questi casi, si tratta di un viaggio dell’eroe completamente nuovo, atto ad affrontare un’esperienza che non è in relazione con la sua attività professionale abituale.

Siamo dunque nelle fasi centrali del viaggio, ed esaminiamo l’archetipo del martire.

Il medico Martire è probabilmente il più amato da pazienti e colleghi.

  • Vive la professione come una missione, a cui sacrifica se stesso e la sua vita, accetta turni e orari massacranti, dà il suo numero di cellulare a tutti i pazienti e non si nega mai.
  • È indubbiamente a rischio di burnout e, vivendo sempre sotto pressione, potrebbe avere difficoltà nella gestione di ulteriori situazioni di stress o nel prendere decisioni difficili in tempi ristretti.
  • È attento al paziente, rispettoso dei protocolli, gentile con tutti.
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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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