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Dalla terapia al benessere

Come cambiano le richieste del cliente

Leggo, in un report informativo per il farmacista:
  • Da qualche anno si è generata una nuova categoria di clienti della farmacia, si tratta di clienti che entrano in farmacia alla ricerca di benessere, si sta assistendo quindi ad un passaggio da cliente patologico a cliente fisiologico. La figura del paziente che entra in farmacia con la ricetta sta cambiando, il medico e il farmacista rimangono il riferimento del sistema, ma il paziente è più attento, più informato, più disponibile a valutare proposte alternative ai percorsi tradizionali.
Sono assolutamente d’accordo, e aggiungo che il cliente, oggi più che mai, va in farmacia per il consiglio che il farmacista sa dare, e spesso anche per ottenere chiarezza e conforto in mezzo alla miriade di informazioni, spesso contraddittorie, che trova sul web.
Infatti a fronte di molti siti estremamente validi, capaci di quella divulgazione scientificamente corretta ed anche pienamente comprensibile che il paziente merita, alcuni trasmettono come verità notizie a dir poco discutibili.
Il paziente, dunque, desidera chiarezza, serietà, competenza e consigli.
Questo obbliga il farmacista ad essere sempre più informato e aggiornato, ma sapere tutto di tutto …
Ci sono due modalità per affrontare il problema, anche se nessuna delle due può evitarvi di dover trascorrere diverso tempo per acquisire nuove conoscenze. 
  • Se potete, e in farmacia siete in diversi, dividetevi i settori. Il paziente che vuole un consiglio vuole essere ascoltato e non si pone problemi di tempo: a fronte di una domanda complessa non si offenderà nel sentirsi dire di attendere un attimo il collega che è specializzato in quel particolare settore.
  • Se, invece, operate in una piccola farmacia createvi una specializzazione: omeopatia, ayurvedica, alimentazione. Invece che allontanare i clienti questo vi crea una sorta di posizionamento differenziante. E poi potete sempre studiare un altro settore dopo averne approfondito uno. 
In fondo, è possibile mangiare un elefante trasformandolo in bistecche e mangiandone giorno dopo giorno, dopo giorno. 

Ci sono, poi, altre considerazioni e altri cambiamenti legati o imputabili alla pandemia, ma di questo parleremo un'altra volta
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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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