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Bloccati nel percorso: il martire

A volte nella gestione delle esperienze difficili si rimane bloccati nell'archetipo del martire

Nel percorso di gestione delle esperienze, il martire conosce bene l’esistenza del drago.

Quello su cui non si rassegna è perché quel drago sia dovuto capitare proprio a lui!

Il martire è già in cammino, ha già iniziato la sua elaborazione dell’esperienza. Probabilmente l’innocente è stato talmente sopraffatto dal dolore da essere costretto, per sopravvivere, a passare alla fase del martire. O forse ha ricevuto una luce, una guida, un gesto che l’ha indotto ad avviarsi.

Il martire è un personaggio sfaccettato, soprattutto se rimane bloccato nel ruolo.

Tutti si interrogano, tutti vorrebbero sapere perché hanno dovuto incontrare il drago. Se accetteranno di affrontarlo, di fare tutto il percorso, forse non scopriranno “perché”, ma sapranno cosa gli ha regalato l’esperienza, ma per ora sono martiri.

E qualcuno vuole sapere dagli altri le risposte, vuole da altri la compensazione del loro drago. Non si curano dei draghi altrui!
Qualcuno invece, tentando una risposta, si cala appieno nel ruolo, attribuendo il drago alla sfortuna, al destino crudele, a ipotetiche colpe ancestrali. Ritengono di meritare il drago, quindi non solo non si cureranno di affrontarlo, ma ne cercano altri.
Spesso il martire trova ragione di esistere nel prendersi cura degli altri: il suo è un sacrificio, spesso un vero martirio, correlabile ad una scarsa autostima e ad un estremo bisogno di sentirsi utile, basato sulla falsa equazione che se sono utile mi ameranno.

Si può essere bloccati nel ruolo del martire per tutta la vita, sviluppando egoismi e invidia o masochismi di varia entità, ma, soprattutto, essendo spesso infelici nel tentativo di rendere felici coloro che, per caso o per scelta o per puro utilitarismo, vivono accanto.

Quello del martire è un ruolo pericoloso, che oscilla tra il totale sacrificio e una possibile serie di rancori verso il mondo, o verso persone ben precise. 

Per uscire dalla gabbia che si è costruito, il martire dovrà riconoscere ed esigere il suo diritto di esistere, di essere amato, e il bisogno di prendersi cura di sé, e quando lo darà, passerà oltre diventando viandante.
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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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