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Antibiotici ed educazione alla salute

Per fermare il cattivo uso degli antibiotici bisogna informare ed educare

Le restrizioni sulla vendita di antibiotici senza prescrizione sono sacrosante: la resistenza agli antibiotici è davvero un problema serio, in buona parte provocato dall’abuso e dal cattivo impiego di questi farmaci.

Vietare, e basta, non è però una soluzione. Né è una soluzione lamentare la facilità con cui alcuni medici prescrivono antibiotici.

La ricetta elettronica (benvenuta e benedetta, secondo me) ha aggravato un problema: le scarse informazioni che il paziente riceve su modalità, durata e orari di assunzione del farmaco.


Va ricordato che una delle cause principali di resistenza agli antibiotici non è l’assunzione di questi farmaci quando non è assolutamente necessario, elemento dannoso, sicuramente, ma meno di quanto lo siano terapie “ridotte”.

L’antibiotico viene da molti ritenuto un farmaco “di emergenza” e, finita quella che il paziente ritiene essere l’emergenza, si smette di assumere il farmaco. È la scelta ottimale per indurre qualunque batterio a sviluppare resistenza.

Le regole di durata della terapia, poi, sono diverse a seconda dell’antibiotico, oltre che della patologia.

Davvero qualcuno spera, medico o farmacista, che il paziente legga accuratamente il bugiardino?

Credo di no, anche perché leggere un foglietto illustrativo scatena nei non addetti ai lavori timori per i più strani effetti indesiderati!


Credo quindi che il farmacista sia una figura essenziale nella lotta all’antibiotico-resistenza, ma non solo rifiutando il farmaco senza ricetta, soluzione solo parzialmente efficace e che spesso induce solo a fare una telefonata e ottenere una ricetta elettronica.

Il ruolo del farmacista come educatore alla salute è, secondo me prima ogni altro impegno, quello di far sì che i farmaci vengano assunti correttamente, assicurandosi che il paziente sappia quando assumere l’antibiotico e per quanto tempo, rendendolo anche consapevole dei perché e delle conseguenze possibili.

Faticoso? Sì, ma estremamente utile.

Come far sì che il paziente comprenda? Questo fa parte delle competenze di comunicazione! 

Autore: Carla Fiorentini 19 gennaio 2025
La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
Autore: Carla Fiorentini 13 gennaio 2025
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