Spesso riteniamo che il nostro modo di esprimerci rappresenti solo un’abitudine, un modo di dire.
Ma non è così!
Attraverso le parole che scegliamo e il modo con cui le colleghiamo tra loro per esprimere pensieri e concetti raccontiamo molto di noi e, per chi sa ascoltare, spesso raccontiamo più di quanto possiamo desiderare.
Questo vale anche per come il paziente esprime la sua malattia.
Un segnale spicciolo, quasi banale, a cui suggerisco di prestare la massima attenzione è come il paziente esprime il suo stato.
Esiste una profonda differenza tra dire “sono malato” o “ho una malattia”.
Il verbo essere rappresenta uno stato, ma soprattutto rappresenta che la malattia è inserita, profondamente, nell’identità del malato.
Non per nulla i bambini, che la sanno molto più lunga degli adulti sull’uso delle parole, quando vogliono stare a casa da scuola si guardano bene dal fare affermazioni del tipo: “ho una malattia, ho l’influenza” o, anche, “mi sento poco bene”, ma in genere vanno dritti al punto: “sono malato!”
Crescendo si imparano molte sfumature del linguaggio, ma i concetti più profondi rimangono.
“sono stressato” è decisamente più grave che affermare “sto subendo una situazione di stress”, e non si tratta solo di usare un numero maggiore o minore di vocaboli, o di parlare in modo più o meno forbito.
Avere una malattia, anche cronica o molto grave, significa prendere una certa distanza dalla malattia stessa, mentre essere malato equivale ad essere la malattia, e ad esserne totalmente in balia.
Le uniche situazioni in cui “essere malato” può avere qualche utilità è quando il medico stesso vuole modificare la mappa del mondo del paziente, generalmente per correlazioni con modifiche drastiche e sostanziali del suo stile di vita.
Se un paziente si presenta affermando “sono iperteso”, “sono malato”, conviene suggerire una visita medica, anche se il paziente chiede solo il vostro contributo per scegliere un integratore alimentare.
Peggio ancora quando si entra nell’ambito delle sfumature psicologiche. “ho un periodo di depressione” è estremamente diverso dal “sono depresso”. Nel primo caso cure adeguate vanno in sinergia con la “spinta” del paziente, ma nel secondo caso anche le cure farmacologiche più efficaci avranno un ruolo limitato, di efficacia o di tempo, perché ciò che andiamo ad inserire nella nostra identità è nostra finché qualcosa non ci induce a modificarla.
La capacità comunicazionale del farmacista “passa” anche attraverso la comprensione di queste sostanziali sfumature: un problema di salute semplice, e di semplice soluzione, può diventare molto serio se l’individuo colloca il suo malessere ad un livello più elevato, e spesso può essere proprio il farmacista, con consigli preziosi, a distinguere quando anche una patologia lieve necessita un intervento medico.