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Schemi mentali: i metaprogrammi

I metaprogrammi: uno strumento utile nella gestione del paziente, dello studente, del cliente... e di se stessi

La programmazione neurolinguistica ha identificato e codificato da molti anni i metaprogrammi, tuttavia è da relativamente poco tempo che se ne è approfondito l’utilizzo non solo come singolo metaprogramma, ma come panel più o meno completo per la gestione delle persone, e di se stessi.

Ovviamente la maggior parte delle ricerche, dei test, e degli utilizzi pratici, è stato fatto in ambito business: definire se una persona ha le caratteristiche ottimali per una certa professione, studiare il mix di caratteristiche che faccia funzionare al meglio un gruppo di lavoro, facilitare i cambiamenti o il raggiungimento degli obiettivi.

In ambito medico, o nel settore della salute in generale, o in ambito scolastico, come strumento utile per gli insegnanti, si trovano molte meno informazioni (quasi nessuna, per dire la verità).

Vi confesso che io non sono particolarmente amante dei sistemi che codificano le persone, a rischio di generare dei ghetti mentali, quindi la mia reazione istintiva a molti studi sui metaprogrammi è di repulsione.

Però riconosco che possono essere di aiuto al medico per gestire il malato, e al malato per gestire se stesso e la sua malattia, soprattutto se è grave o cronica, al farmacista per gestire il cliente o, ancora, all'insegnante per svolgere al meglio il suo lavoro.

Quindi parleremo di metaprogrammi!

Ma cosa sono? Schemi di pensiero e comportamento, meccanismi di scelta, una via di mezzo tra abitudini e modalità comportamentali innate, che determinano pensiero, azione e reazioni....
Ne esistono tanti: qualcuno ne ha identificato circa cinquanta. Decisamente troppi per i miei gusti!
Personalmente ho scoperto l'utilità dei metaprogrammi durante la mia malattia: avevo assoluto bisogno di modificare alcune mie abitudini, e non sapevo bene come fare. Identificando con chiarezza cosa cambiare, e riesaminando le tecniche che già conoscevo, ho provato a lavorare sui miei metaprogrammi, e ha funzionato! (vuoi sapere come? Leggi il mio libro Quattro passi in galleria - quando non vedi la fine del tunnel, arredalo).
Autore: Carla Fiorentini 19 gennaio 2025
La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
Autore: Carla Fiorentini 13 gennaio 2025
A quasi tutti è capitato di dirlo o di sentirselo dire: facciamo qualche riflessione in merito.
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