È facile, soprattutto in questo periodo, trovare articoli che raccontano l’incremento di burnout, anche tra i farmacisti, e basta poco per trovare sul web siti o pagine che spiegano con dovizia e precisione di cosa si tratta.
Il burnout è, per definizione, un problema che si genera in ambito professionale e le azioni sono le aziende, nel senso più ampio del termine, che dovrebbero mettere in atto misure preventive e correttive.
È una vera patologia, complessa e composita, e come tale non è facile da diagnosticare.
C’è però un aspetto a latere.
Burnout significa “essere scoppiati”.
Il farmacista non può, ovviamente, riconoscere il burnout di un suo cliente, tantomeno ipotizzare una diagnosi di burnout.
Il farmacista può però sospettare una situazione di disagio ascrivibile al burnout. Come? E poi?
Cominciamo da come.
I sintomi del burnout sono tanti: stanchezza, insonnia, cefalea, mal di stomaco, problemi sessuali, tachicardia, nausea, inappetenza, dolori e problemi digestivi, senso di soffocamento, tremori, sudorazione alle mani, mal di schiena e tensioni muscolari, vertigini, ipertensione…
Del burnout fa parte un pesantissimo senso di inadeguatezza e importanti problemi relazionali: entrambe si manifestano molto spesso con immotivata aggressività.
Ed ecco che vengono in mente quei pazienti-clienti che hanno ogni tipo di problemi e sono intolleranti, aggressivi, maleducati. Attenzione, in particolare, ai clienti fidelizzati che non hanno mai mostrato prima questo genere di segnali.
E poi? Che fare?
La prima cosa è non farsi coinvolgere. Perché il clima di malessere e aggressività che sta dilagando coinvolge facilmente.
Mettere quindi in atto alcune semplicissime reazioni sempre utili e disponibili in situazioni di stress: spalle dritte, testa alta, respiri profondi. Al paziente serve a poco, ma tutela il farmacista.
Empatia e placebo: rimedi sempre utili.
Invito ad andare dal medico, evitando di pasticciare con i farmaci.
E proporre di alleviare l’ansia.