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Sai riconoscere il burnout?

Aumentano articoli e ricerche che segnalano l’incremento del burnout     

È facile, soprattutto in questo periodo, trovare articoli che raccontano l’incremento di burnout, anche tra i farmacisti, e basta poco per trovare sul web siti o pagine che spiegano con dovizia e precisione di cosa si tratta.

Il burnout è, per definizione, un problema che si genera in ambito professionale e le azioni sono le aziende, nel senso più ampio del termine, che dovrebbero mettere in atto misure preventive e correttive.

È una vera patologia, complessa e composita, e come tale non è facile da diagnosticare.

C’è però un aspetto a latere.

Burnout significa “essere scoppiati”.

Il farmacista non può, ovviamente, riconoscere il burnout di un suo cliente, tantomeno ipotizzare una diagnosi di burnout.

Il farmacista può però sospettare una situazione di disagio ascrivibile al burnout. Come? E poi?

Cominciamo da come.

I sintomi del burnout sono tanti: stanchezza, insonnia, cefalea, mal di stomaco, problemi sessuali, tachicardia, nausea, inappetenza, dolori e problemi digestivi, senso di soffocamento, tremori, sudorazione alle mani, mal di schiena e tensioni muscolari, vertigini, ipertensione…

Del burnout fa parte un pesantissimo senso di inadeguatezza e importanti problemi relazionali: entrambe si manifestano molto spesso con immotivata aggressività.

Ed ecco che vengono in mente quei pazienti-clienti che hanno ogni tipo di problemi e sono intolleranti, aggressivi, maleducati. Attenzione, in particolare, ai clienti fidelizzati che non hanno mai mostrato prima questo genere di segnali.

E poi? Che fare?

La prima cosa è non farsi coinvolgere. Perché il clima di malessere e aggressività che sta dilagando coinvolge facilmente.

Mettere quindi in atto alcune semplicissime reazioni sempre utili e disponibili in situazioni di stress: spalle dritte, testa alta, respiri profondi. Al paziente serve a poco, ma tutela il farmacista.

Empatia e placebo: rimedi sempre utili.

Invito ad andare dal medico, evitando di pasticciare con i farmaci.

E proporre di alleviare l’ansia.

Autore: Carla Fiorentini 19 gennaio 2025
La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
Autore: Carla Fiorentini 13 gennaio 2025
A quasi tutti è capitato di dirlo o di sentirselo dire: facciamo qualche riflessione in merito.
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