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Riflessioni sul burnout

Fonti attendibili segnalano un incremento dei casi di burnout

Ricevo regolarmente riviste per farmacisti e medici e da tempo sono abbonata a servizi di google scholar per aggiornamenti su lavori pubblicati sulla relazione medico-paziente e il benessere psicologico nei luoghi di lavoro. Questo per dire che ho un osservatorio aggiornato e attendibile, che segnala incrementi elevatissimi del fenomeno del burnout.

È allarme?

Il burnout è una roba seria, una vera patologia con un’infinità di sintomi e manifestazioni: le persone scoppiano. Non è solo stress, ma molto, molto di più.

La diagnosi di burnout è complessa: serve un vero specialista.

Non è mia intenzione contestare le pubblicazioni che ho letto, ma come per ogni diagnosi complessa è importante valutare i criteri diagnostici utilizzati e in diversi casi, soprattutto negli articoli più divulgativi, si usa la definizione di burnout con un po’ troppa leggerezza.

Nonostante il mio desiderio di sdrammatizzare, il problema c’è.

Ciò che emerge con forza è la sensazione di impotenza, come svuotare il mare con un cucchiaino, abbastanza tipico delle professioni sanitarie e fondamentalmente imputabile alla pandemia.

Problemi più generalizzati, che credo riscontriamo più o meno tutti, sono anche la stanchezza, in una forma molto simile alla fatigue tipica dei pazienti oncologici, la mancanza di fiducia nel futuro, e persino di speranza, e un intensificarsi dell’aggressività, come se la rabbia potesse essere una soluzione al malessere.

Apparentemente possono sembrare elementi scollegati tra loro, ma possono anche essere letti come una escalation di un’emozione base: la paura.

Difficile ipotizzare soluzioni globali o generalizzate. Siamo verso la fine di un ciclo della nostra storia, quel ciclo iniziato con la rivoluzione industriale: indietro non si torna e il futuro sta emergendo, ma non è ancora qui.

Inutile, secondo me, sperare che una qualunque legge o piano di investimenti possa farci tornare al mondo che abbiamo conosciuto.

Eppure possiamo fare molto, singolarmente e collettivamente.

  • Singolarmente possiamo abbracciare le nostre paure invece di soccombere.
  • E collettivamente possiamo collaborare, spargere armonia, risate e benessere. Io ci credo.
Autore: Carla Fiorentini 19 gennaio 2025
La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
Autore: Carla Fiorentini 13 gennaio 2025
A quasi tutti è capitato di dirlo o di sentirselo dire: facciamo qualche riflessione in merito.
Autore: Carla Fiorentini 29 dicembre 2024
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