Ribaltiamo i modelli mentali: Sì o No
Oggi ribaltiamo la più classica delle dicotomie: sì o no.

Da anni conduco una mia personale battaglia di eliminazione delle dicotomie, con la guida e la complicità dell’I Ching che, in questo e altre cose, è un vero mentore. E oggi ribaltiamo la più classica delle dicotomie: sì o no, e anche Perché sì o Perché no.
Prima di cominciare a giocare con le sfumature questa era, anche per me, la dicotomia assoluta (accompagnata dal giusto – sbagliato, di cui parleremo più avanti).
Imparare a dire NO è stata una conquista, e una di quelle difficili.
Non volevo deludere gli altri, in particolare i miei familiari, e quindi il mio era un sì ad ogni richiesta. Poi ho cominciato a lavorare, e a gestire il tempo, ma dire no alle richieste dei superiori mi sembrava impensabile. Peccato che questo equivalesse a enormi sacrifici personali.
Ormai sapevo bene che per rispettare gli impegni professionali e le richieste familiari sacrificavo il mio tempo e le mie esigenze.
Guardando indietro, alla luce di ciò che so ora, era il tempo in cui incarnavo quello che nel viaggio dell’eroe è l’archetipo del martire: far felici gli altri confidando che equivalesse ad approvazione e persino che i miei mi volessero più bene. Non funziona, ora so che non funziona.
L’altra sfaccettatura era il cedere alle lusinghe: fai tu che sei brava! Anche queste sono una parvenza di approvazione, e il martire cede più o meno sempre.
Poi ho imparato a dire no. E mi è sembrata una grande conquista.
Imparare a dire no mi ha tolto ansia: se dico sì rispetto gli impegni, se so di non avere tempo, se non sacrificandomi, dico no.
A questo punto ho fatto un’altra scoperta.
Ci sono parecchie persone che si offendono se dici no, ma a cui va benissimo se dici sì e poi fai poco o nulla.
Questo contrasta, e non poco, con la mia visione del mondo, col mio senso del dovere, con il rigore e la coerenza che sono abituata a cercare di avere, sempre, tra ciò che dico e ciò che faccio.
Ho dovuto ribaltare davvero molto per accettare questi comportamenti. In realtà mi sono dovuta accorgere che non era questione di meri comportamenti. Si tratta di una terza modalità rispetto all’alternativa sì o no basata sul dare la priorità alla relazione e da gestire con estrema attenzione rispetto al richiedente. È un’opportunità che io trovo scomoda, ma è un’opportunità.
E, in fondo, fa parte di questo anche una delle citazioni preferite di mio padre: il meglio è nemico del bene.
Non sempre, aggiungo io, ma a volte sì.
Certo, ragionando così c’è il rischio che la montagna partorisca un topolino. Certo, Peter Senge (uno dei miei miti!) mette in guardia rispetto all’erosione degli obiettivi, quel meccanismo per cui si parte con grandi idee, una bella vision e qualche sogno, e poi l’impegno e la fatica necessari a realizzarli fanno sì che, poco a poco, ci si dichiari soddisfatti di qualcosa che è solo una piccola percentuale del progetto iniziale. Però, a volte, è la scelta migliore.
Ed eccomi ancora qui: bisogna saper scegliere!
Del mondo del sì o no fa parte anche la dicotomia del perché sì o perché no, cioè dell’atteggiamento, spesso mentale, che abbiamo a fronte di ipotesi di cambiamento o suggerimenti e consigli.
Ne parlo nel video.

Se facessimo una classifica di pazienti modello gli italiani non sarebbero certo ai primi posti, lo sappiamo da anni. Sappiamo che gli italiani si auto riducono i dosaggi, terminano le cure prima di quanto ha detto il medico, non rispettano le posologie, … Ora, a tutto questo, si è aggiunta una sorta di auto-riduzione dei farmaci prescritti. Ma il vero problema è che ora tutto ciò che già accadeva, e molto di più, è originato dalle difficoltà economiche in cui versano molti italiani. E se prima le autoriduzioni di posologia o durata della terapia erano frequenti soprattutto nelle patologie acute, oggi la rinuncia alla terapia, o la sua drastica riduzione, avviene soprattutto nelle patologie croniche. E raramente il medico è a conoscenza della situazione: il paziente non ha la forza, o il coraggio, di dichiarare al medico la sua realtà. Ancora una volta, dunque, è il farmacista colui che ha maggiormente il polso della situazione, e che è chiamato, sebbene non ufficialmente, a supportare il paziente. Cosa può dunque fare il farmacista? Il mio parere personale è di creare una vera e propria rete di allerta, sostegno e valutazione che coinvolga il farmacista “di quartiere” e il medico di base, che abbia anche la possibilità di intervento reale nel fornire farmaci a chi, davvero, rinuncia alle terapie per motivi economici. È un sogno, lo so. Rimanendo su azioni concrete credo che il farmacista possa fare molto con le sue capacità di sostegno e consiglio, senza sostituirsi al medico. Credo anche che il futuro sia nello sviluppo di competenze di coaching per il medico e il farmacista. Competenze che permettono di motivare il paziente, supportarlo durante la terapia, finalizzare le cure, e ridurre anche i costi in numerose sfaccettature del sistema sanitario consentendo così di ricavare risorse per fornire terapie totalmente gratuite a chi, altrimenti, non può permettersele. Un sogno anche questo, ma più facile da raggiungere rispetto al precedente.

Non è, ovviamente, mia intenzione dare consigli su rimedi della nonna, antiche ricette o terapie alternative, ma solo riflettere, e farvi riflettere, su come rispondere al paziente che vi racconta di cure di supporto che, a lui, appaiono tanto efficaci. Le situazioni sono molteplici, e i rimedi sono infiniti. Si va dai consigli alimentari alle cure palliative, dai decotti alle sciarpe rosse: si usa di tutto e si sente di tutto. Talvolta sono i rimedi della nonna, altre volte sono antiche ricette lette su qualche rivista di salute, o consigli letti sul web o ricevuti da qualche amico. Siatene certi: la maggior parte dei vostri pazienti fa uso di qualche rimedio, integratore, elemento salutistico o alimento prodigioso, sia che ve lo racconti sia che stia in totale silenzio . Ci sono gli alimenti salutari, le medicine alternative, i rimedi tramandati in famiglia, le pubblicità … È chiaro che il medico dovrà valutare caso per caso, ma ci sono alcune raccomandazioni (dettate dal buon senso, oltre che dallo studio della comunicazione) che valgono sempre. Il primo consiglio è che è sempre meglio sapere tutto quello che il paziente assume o fa, soprattutto se siete il medico di famiglia che tiene le fila della sua storia clinica. Se contestate, sminuite, rifiutate o ridicolizzate ogni rimedio che i vostri pazienti ritengono efficaci ciò che otterrete non sarà l’eliminazione delle aggiunte, palliative o terapeutiche, ma solo e semplicemente il paziente smetterà di raccontarvi ciò che assume . Il secondo consiglio, strettamente correlato al primo, è che l’effetto placebo, nelle sue diverse forme, è un fattore fondamentale per la guarigione, di qualunque malattia. Visto che parliamo di rimedi della nonna citerò le parole di mia nonna, quando mi trovò (avevo circa un anno) a mangiare i chicchi d’uva raccolti da terra poiché non arrivavo ai filari: quel che non strozza, ingrassa. Quello che non fa male, va bene. Imparate quindi ad accettare quei rimedi che non fanno alcun danno, e accettateli di buon grado. Eliminate, invece, drasticamente ciò che è rischioso o, meglio ancora, sostituitelo con qualcosa che sia innocuo o davvero di supporto. Potrete così mantenere alto l’effetto placebo e, contemporaneamente, conservare la fiducia del vostro paziente e un alto livello di dialogo.

Dopo una laurea in chimica e tecnologie farmaceutiche e oltre 20 anni di carriera in aziende farmaceutiche multinazionali, e continuando ad aggiornarmi anche da quando faccio la libera professione, credevo si sapere molto sui placebo e sull’effetto placebo. Ma questo libro mi ha affascinato e fatto fare nuove scoperte fin dalle prime pagine. I suoi pregi sono moltissimi. I pregi pratici: è piccolo, leggero, economico. Può essere messo in borsa e letto ovunque. E anche queste piccole cose non sono da sottovalutare. È scritto benissimo. Si pone l’obiettivo di essere un testo divulgativo, e lo è davvero . Ricchissimo di cultura e di riferimenti storico – letterari – filosofici manca totalmente di pomposità o frasi contorte che spesso si trovano in questo tipo di libri. Qui c’è la cultura vera. Einstein diceva “ Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna ”, affermazione che condivido appieno perché chi sa davvero sa anche semplificare i concetti. Fabrizio Benedetti sa. Sa spiegare, sa affascinare. E il libro è anche affascinante per i contenuti, il rigore scientifico. È imperdibile per tutti coloro che lavorano in ambito salute, ed è utile per tutti.

Il titolo completo del libro è Intelligenza emotiva Cos’è e perché può renderci felici. Daniel Goleman è sicuramente il più autorevole esperto mondiale di intelligenza emotiva. Il libro viene talvolta dichiarato “fuori catalogo”, ma vi assicuro che si trova ancora, sia in libreria che per gli acquisti on line. Queste le notizie pratiche. E poi, che dire? È interessante, scritto bene, leggibilissimo. E, soprattutto, imperdibile per chiunque abbia interesse per le relazioni umane, per chi educa, collabora o guida altri esseri umani.