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Quando il drago è una cipolla

Scherzose elucubrazioni sul viaggio dell'eroe

Chi mi segue sa quanto amo il viaggio dell’eroe e come lo ritengo uno strumento prezioso per la crescita personale e la gestione delle esperienze difficili. Grazie al viaggio dell’eroe ho sviluppato percorsi di mentoring e coaching efficaci, per pazienti e caregiver, per affrontare una diagnosi pesante. Oggi, però affronto qui una particolare sfaccettatura.


Nel percorso del viaggio dell’eroe c’è un drago da affrontare. Riconoscerlo è importante, e non sempre è facile. Riconoscere il proprio drago significa anche tuffarsi nelle proprie ombre, e non di rado si finisce per cercare di affrontare un drago che non è proprio il nostro.


Viaggio dopo viaggio, drago dopo drago, si cresce.

Ci sarà ancora strada da fare: imparare è una vera storia infinita.

Però… ne ho passate tante, ho persino acquisito fiducia in me stessa.

E poi arriva il drago-cipolla, una stranissima forma di drago davvero capace di sfinirmi.

Il drago-cipolla sembra un drago normale, come tanti altri.

Arriva, all’improvviso, togliendoti da quel ruolo di innocente che ha tanti vantaggi, ma va riconquistato ogni volta.

Ti trovi catapultato nell’orfano, fuori dal Paradiso terrestre, immerso nel dolore come nelle sabbie mobili.


Lo sai, da lì bisogna uscire.


Riconosci il drago, varchi la soglia, inizi il viaggio. Sembra tutto normale. Faticoso e impegnativo, forse, ma normale.

Poi, mano a mano che procedi, ti accorgi che non era un drago, ma uno stormo di draghi: un drago-cipolla, appunto.

Ad ogni step scopri una nuova sfaccettatura, qualcosa che richiede attenzione, a cui non avevi pensato. Non c’è il tempo di finire il viaggio, le scoperte si accumulano, i draghi si accatastano.

Il desiderio di fuggire cresce e più che varcare la soglia ti sembra di essere nel film Non aprire quella porta.

Lo so, in realtà il drago-cipolla non esiste, è solo una definizione inventata, una trasposizione di una realtà faticosa che mi sta mettendo in affanno. Sarà Nettuno, Saturno, l’età, o chissà cosa.

Risalgo, con la memoria. Uno dei vantaggi dell’età è che si possono trovare analogie con altri momenti già vissuti, non uguali, certo, ma simili. E trovo il ricordo di un altro periodo affastellato da prove. Allora l’ho superato.

Ce la posso fare.

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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