Gestire un’esperienza difficile significa imparare da ciò che accade.
Come si fa a comprendere se abbiamo davvero elaborato l’esperienza?
Abbiamo imparato, ma soprattutto siamo in grado di riparlare, raccontare, ricordare l’esperienza come qualcosa che è passata, chiusa. Ricordiamo i fatti, ma non riviviamo più la sofferenza e le emozioni negative che abbiamo sperimentato a causa di qualcosa che è accaduto.
Per farlo ci sono diverse modalità, tecniche. Gestire un’esperienza è un processo, un viaggio (sì, anche un viaggio dell’eroe). Non importa il tempo che ci vuole, né se lo facciamo da soli o ci facciamo aiutare: conta il risultato.
Si impara, certo, si cresce, anche, si diventa più forti, ma secondo me tutto questo ha scarsa importanza.
Ciò che ho scoperto, constatato, negli anni, osservando me stessa e gli altri è che un’esperienza difficile non elaborata è un grande peso e per impedire che renda la nostra vita una totale e costante sofferenza dobbiamo metterla a tacere, con sforzo, fatica, enorme spreco di energie.
Poi, nei momenti in cui siamo più fragili, meno vigili, il dolore non elaborato emerge e domina tutto.
Lo possiamo osservare nelle persone sotto anestesia, o in coma, o quando malattie neurologiche alterano lo stato di vigilanza della coscienza.
L’ho vissuto, e l’ho visto vivere.
Secondo me questo significa che in fondo, come un programma di computer, noi siamo strutturati per elaborare le nostre esperienze e possiamo evitarlo solo con la volontà.
Non elaborando andiamo contro uno dei principi fondanti del nostro essere, della fisiologia, dell’universo stesso.