Perché gestire le esperienze difficili

Da anni mi occupo di gestione delle esperienze difficili. Cosa significa e perché è importante?

Gestire un’esperienza difficile significa imparare da ciò che accade.

Come si fa a comprendere se abbiamo davvero elaborato l’esperienza?

Abbiamo imparato, ma soprattutto siamo in grado di riparlare, raccontare, ricordare l’esperienza come qualcosa che è passata, chiusa. Ricordiamo i fatti, ma non riviviamo più la sofferenza e le emozioni negative che abbiamo sperimentato a causa di qualcosa che è accaduto.


Per farlo ci sono diverse modalità, tecniche. Gestire un’esperienza è un processo, un viaggio (sì, anche un viaggio dell’eroe). Non importa il tempo che ci vuole, né se lo facciamo da soli o ci facciamo aiutare: conta il risultato.

Ma perché farlo? Perché gestire l’esperienza?

Si impara, certo, si cresce, anche, si diventa più forti, ma secondo me tutto questo ha scarsa importanza.

Ciò che ho scoperto, constatato, negli anni, osservando me stessa e gli altri è che un’esperienza difficile non elaborata è un grande peso e per impedire che renda la nostra vita una totale e costante sofferenza dobbiamo metterla a tacere, con sforzo, fatica, enorme spreco di energie.

Poi, nei momenti in cui siamo più fragili, meno vigili, il dolore non elaborato emerge e domina tutto.

Lo possiamo osservare nelle persone sotto anestesia, o in coma, o quando malattie neurologiche alterano lo stato di vigilanza della coscienza.

L’ho vissuto, e l’ho visto vivere.

Secondo me questo significa che in fondo, come un programma di computer, noi siamo strutturati per elaborare le nostre esperienze e possiamo evitarlo solo con la volontà.

Non elaborando andiamo contro uno dei principi fondanti del nostro essere, della fisiologia, dell’universo stesso. 

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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