Come capire se il paziente ascolta?
Quante volte hai pensato di aver spiegato tutto, e poi...

Una delle maggiori carenze di oggi è la capacità di ascolto. E nella visita medica subentrano anche altre difficoltà, proprio quando è indispensabile, invece, che il paziente ascolti.
Poniamo che siate perfettamente in grado di comunicare, che siate ben sicuri di dedicare il tempo necessario, le parole giuste, il tono adeguato, il linguaggio più idoneo.
Allora è tutto a posto? Potete essere sicuri che il paziente vi ha ascoltato e seguirà le vostre indicazioni?
Chi è attento alla comunicazione, chi segue con accortezza i propri pazienti sa bene che non può essere sicuro. Le variabili sono tante, gli inghippi che possono sorgere sono davvero numerosi.
E allora?
Ci sono un paio di cose a cui prestare particolare attenzione, e magari dedicarvi alcuni trucchi.
- La prima è la postura del paziente. È provato che chi sta regolarmente in posizione di chiusura (braccia conserte, gambe accavallate) ascolta meno rispetto a chi sta in posizione più disponibile. Quindi questo è già un indizio. Se poi il paziente crea barriere tra voi e lui, ad esempio ponendo oggetti sulla scrivania nella traiettoria immaginaria che vi unisce, le probabilità che non ascolti aumentano. E ricordate che i motivi di non ascolto possono essere davvero numerosi, compresa la paura o l’ansia.
Assicuratevi quindi che lo spazio tra voi sia libero, verificate che non ci siano motivi specifici per la posizione del paziente (ad esempio potrebbe semplicemente avere freddo) e, se vi trovate in una situazione di probabile non ascolto, inducete il paziente a cambiare posizione, ad esempio mostrandogli qualcosa. Ricordate inoltre che la posizione che maggiormente indice alla collaborazione non è quella di contrapposizione ai due lati della scrivania, ma quella con le sedie a 45° tra loro, entrambe dallo stesso lato della scrivania. - Un altro elemento è la reazione verbale del paziente alle vostre parole.
Ricordate che chi ha la tendenza a terminare le frasi, o le parole, è generalmente in situazione di ascolto riflessivo. In pratica, non ascolta ciò che state dicendo.
La maniera ottimale per assicurarsi che il paziente abbia ascoltato, e capito, è invitarlo con opportuni “trucchi” a riformulare con parole sue quello che gli avete spiegato o raccomandato.
Potete quindi chiedere “quale parte della terapia pensa che gli risulterà più semplice” (non quella più difficile, ma quella più facile! Aiutatelo a concentrarsi sul positivi, non sul negativo) oppure a quale azione quotidiana pensa di associare la terapia per ricordarsela meglio, o qualunque cosa sia idonea a far sì che il paziente ripeta, con metafore o parole sue, le vostre raccomandazioni.
E allora sì, potete esse sicuri che ha ascoltato e compreso.

Se facessimo una classifica di pazienti modello gli italiani non sarebbero certo ai primi posti, lo sappiamo da anni. Sappiamo che gli italiani si auto riducono i dosaggi, terminano le cure prima di quanto ha detto il medico, non rispettano le posologie, … Ora, a tutto questo, si è aggiunta una sorta di auto-riduzione dei farmaci prescritti. Ma il vero problema è che ora tutto ciò che già accadeva, e molto di più, è originato dalle difficoltà economiche in cui versano molti italiani. E se prima le autoriduzioni di posologia o durata della terapia erano frequenti soprattutto nelle patologie acute, oggi la rinuncia alla terapia, o la sua drastica riduzione, avviene soprattutto nelle patologie croniche. E raramente il medico è a conoscenza della situazione: il paziente non ha la forza, o il coraggio, di dichiarare al medico la sua realtà. Ancora una volta, dunque, è il farmacista colui che ha maggiormente il polso della situazione, e che è chiamato, sebbene non ufficialmente, a supportare il paziente. Cosa può dunque fare il farmacista? Il mio parere personale è di creare una vera e propria rete di allerta, sostegno e valutazione che coinvolga il farmacista “di quartiere” e il medico di base, che abbia anche la possibilità di intervento reale nel fornire farmaci a chi, davvero, rinuncia alle terapie per motivi economici. È un sogno, lo so. Rimanendo su azioni concrete credo che il farmacista possa fare molto con le sue capacità di sostegno e consiglio, senza sostituirsi al medico. Credo anche che il futuro sia nello sviluppo di competenze di coaching per il medico e il farmacista. Competenze che permettono di motivare il paziente, supportarlo durante la terapia, finalizzare le cure, e ridurre anche i costi in numerose sfaccettature del sistema sanitario consentendo così di ricavare risorse per fornire terapie totalmente gratuite a chi, altrimenti, non può permettersele. Un sogno anche questo, ma più facile da raggiungere rispetto al precedente.

Non è, ovviamente, mia intenzione dare consigli su rimedi della nonna, antiche ricette o terapie alternative, ma solo riflettere, e farvi riflettere, su come rispondere al paziente che vi racconta di cure di supporto che, a lui, appaiono tanto efficaci. Le situazioni sono molteplici, e i rimedi sono infiniti. Si va dai consigli alimentari alle cure palliative, dai decotti alle sciarpe rosse: si usa di tutto e si sente di tutto. Talvolta sono i rimedi della nonna, altre volte sono antiche ricette lette su qualche rivista di salute, o consigli letti sul web o ricevuti da qualche amico. Siatene certi: la maggior parte dei vostri pazienti fa uso di qualche rimedio, integratore, elemento salutistico o alimento prodigioso, sia che ve lo racconti sia che stia in totale silenzio . Ci sono gli alimenti salutari, le medicine alternative, i rimedi tramandati in famiglia, le pubblicità … È chiaro che il medico dovrà valutare caso per caso, ma ci sono alcune raccomandazioni (dettate dal buon senso, oltre che dallo studio della comunicazione) che valgono sempre. Il primo consiglio è che è sempre meglio sapere tutto quello che il paziente assume o fa, soprattutto se siete il medico di famiglia che tiene le fila della sua storia clinica. Se contestate, sminuite, rifiutate o ridicolizzate ogni rimedio che i vostri pazienti ritengono efficaci ciò che otterrete non sarà l’eliminazione delle aggiunte, palliative o terapeutiche, ma solo e semplicemente il paziente smetterà di raccontarvi ciò che assume . Il secondo consiglio, strettamente correlato al primo, è che l’effetto placebo, nelle sue diverse forme, è un fattore fondamentale per la guarigione, di qualunque malattia. Visto che parliamo di rimedi della nonna citerò le parole di mia nonna, quando mi trovò (avevo circa un anno) a mangiare i chicchi d’uva raccolti da terra poiché non arrivavo ai filari: quel che non strozza, ingrassa. Quello che non fa male, va bene. Imparate quindi ad accettare quei rimedi che non fanno alcun danno, e accettateli di buon grado. Eliminate, invece, drasticamente ciò che è rischioso o, meglio ancora, sostituitelo con qualcosa che sia innocuo o davvero di supporto. Potrete così mantenere alto l’effetto placebo e, contemporaneamente, conservare la fiducia del vostro paziente e un alto livello di dialogo.

Dopo una laurea in chimica e tecnologie farmaceutiche e oltre 20 anni di carriera in aziende farmaceutiche multinazionali, e continuando ad aggiornarmi anche da quando faccio la libera professione, credevo si sapere molto sui placebo e sull’effetto placebo. Ma questo libro mi ha affascinato e fatto fare nuove scoperte fin dalle prime pagine. I suoi pregi sono moltissimi. I pregi pratici: è piccolo, leggero, economico. Può essere messo in borsa e letto ovunque. E anche queste piccole cose non sono da sottovalutare. È scritto benissimo. Si pone l’obiettivo di essere un testo divulgativo, e lo è davvero . Ricchissimo di cultura e di riferimenti storico – letterari – filosofici manca totalmente di pomposità o frasi contorte che spesso si trovano in questo tipo di libri. Qui c’è la cultura vera. Einstein diceva “ Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna ”, affermazione che condivido appieno perché chi sa davvero sa anche semplificare i concetti. Fabrizio Benedetti sa. Sa spiegare, sa affascinare. E il libro è anche affascinante per i contenuti, il rigore scientifico. È imperdibile per tutti coloro che lavorano in ambito salute, ed è utile per tutti.

Il titolo completo del libro è Intelligenza emotiva Cos’è e perché può renderci felici. Daniel Goleman è sicuramente il più autorevole esperto mondiale di intelligenza emotiva. Il libro viene talvolta dichiarato “fuori catalogo”, ma vi assicuro che si trova ancora, sia in libreria che per gli acquisti on line. Queste le notizie pratiche. E poi, che dire? È interessante, scritto bene, leggibilissimo. E, soprattutto, imperdibile per chiunque abbia interesse per le relazioni umane, per chi educa, collabora o guida altri esseri umani.