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Io mi preoccupo dei cinestesici

In generale la scuola è strutturata in maniera più confacente per chi ha filtro sensoriale prevalente uditivo o visivo.

  • Lo studente uditivo apprende più facilmente attraverso l’ascolto della spiegazione, è generalmente colui che risponde alle domande già durante la lezione, e solitamente ha una capacità speculativa superiore ad altri.
  • Lo studente visivo è facilitato nell’apprendimento sia dalla lezione, che generalmente schematizza prendendo appunti, sia dallo studio sui libri, di solito sottolineati con diversi colori, ed è colui che “ci tiene” ad avere buoni risultati, orgoglioso di essere tra i primi della classe.
  • Lo studente cinestesico apprende per tentativi, ha bisogno di sapere “a cosa serve” per affrontare lo studio, solitamente prende appunti confusi, ammesso che li prenda, ed è guidato dal senso pratico, che a scuola non ha in genere particolari pregi.
È ovvio che sto generalizzando ed estremizzando: nessuno è al 100% visivo, o uditivo o cinestesico, ma con buona approssimazione possiamo dire che la scuola penalizza i cinestesici.

L’insegnante può quindi pensare di doversi preoccupare maggiormente degli studenti cinestesici, contando sul fatto che visivi e uditivi troveranno più facilmente la loro strada.
È proprio così?
È luogo comune che la bravura a scuola non vada di pari passo con il successo nel mondo del lavoro. Ci sono motivazioni valide per questa affermazione?
Secondo me sì. 
Nella maggior parte delle attività lavorative il sapersi concentrare sull’obiettivo, sul perché viene svolta un’attività, sulle sue conseguenze, fa la differenza tra un discreto lavoratore e un ottimo elemento. La capacità di autogestirsi, imparare dai propri errori, essere propositivi senza attendere sempre istruzioni, il senso pratico nell’affrontare problemi, sono tra le caratteristiche più richieste e premiate.  
Guarda caso, queste abilità sono più che altro collegabili al filtro sensoriale prevalente cinestesico.
Così accade che, nel mondo del lavoro, 
  • il visivo rimanga in attesa di riconoscimenti e, abituato ad ottenerli facilmente in ambito scolastico, si trovi spiazzato, 
  • o che l’uditivo sembri sempre in attesa di istruzioni
  • mentre il cinestesico si rimbocca le maniche e … ci prova.
Ovvio, sto estremizzando.
Ma il concetto fondamentale è che una scuola che educa dovrebbe avere come principale obiettivo quello di ampliare le possibilità e le potenzialità dei suoi studenti, incluso lo sviluppo dei filtri sensoriali, l’incremento di flessibilità della mappa del mondo e di ogni altra caratteristica.
Se non sbaglio, è stato Darwin a dichiarare che la maggior possibilità di sopravvivenza non è delle specie più forti, ma di quelle più flessibili e capaci di adattarsi. E di evoluzione delle specie se ne intendeva!

Autore: Carla Fiorentini 19 gennaio 2025
La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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