Trovo estremamente indicativo della nostra società e del nostro stile di vita, oltre che piuttosto ironico, il fatto che ci affanniamo tanto a parlate di team working e di insegnare a lavorare in gruppo.
Indicativo e ironico: avete presente quello che ci hanno insegnato sull’Homo sapiens e sulla preistoria? Saper collaborare tra esseri umani, lavorare in gruppo, era semplicemente una questione di sopravvivenza.
Se quello che ci hanno raccontato era vero, e non ho motivi per dubitarne, significa che consideriamo l’estremo individualismo e le difficoltà del team working come un’aberrazione evolutiva della nostra specie, o come una brutta infrastruttura appresa durante i secoli. Boh, anacoreti a parte, la storia racconta che anche durante il Medio Evo le comunità umane erano strutturate e basate sulla cooperazione. L’individualismo così sfrenato sembra nato, sostanzialmente, dopo la rivoluzione industriale … più o meno insieme al concetto di stress. Ma non sono qui per una lezione di storia, né sono la persona giusta per farla.
Ciò su cui desidero far riflettere è che il team working potrebbe, e dovrebbe, essere un’attività del tutto spontanea e naturale.
Girando per le scuole, e parlando con gli insegnanti, vedo bellissimi progetti di collaborazione tra insegnanti di diverse materie, scuole, … Vedo però che molti di questi bellissimi progetti nascono più dall’amicizia e simpatia tra gli insegnanti che dalla reale necessità o funzionalità del progetto.
E sento anche insegnanti convinti di poter usare la loro professione per essere “padroni del mondo” nelle ore in cui sono in classe e rifiutare qualunque dialogo, e possibilmente qualunque contatto, con i colleghi.
Collaborare richiede sincerità e onestà intellettuale, sospensione di giudizio e consapevolezza che le sinergie sono una realtà. Richiede anche la conoscenza di se stessi, la consapevolezza, la volontà …
E, soprattutto, per poter lavorare in team è indispensabile la visione tesa all’obiettivo, che non significa necessariamente la vittoria, invece che limitarsi a guardarsi in faccia, o allo specchio per dirsi “bravo”, o a esaminare l’altro per poterlo criticare.
C’è poi un’altra riflessione, importante, che collega il lavoro di squadra ad altre relazioni umane.
Mi fermo qui, per ora. Avremo modo di aggiungere molto nelle prossime settimane.