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Compliance, engagement oppure…

Riflessioni sul coinvolgimento del paziente nella terapia

Rispettare la terapia prescritta è essenziale, e i dati dimostrano che avviene raramente. La prima riflessione, che mi sorge spontanea, è che c’è confusione persino nelle definizioni che, pur esprimendo concetti simili, contengono sfumature comprensibili solo ai cultori della materia.

La letteratura scientifica anglosassone usa i termini compliance ed adherence come sinonimi, mentre nella letteratura italiana, in genere, compliance presuppone la sola decisione del medico a cui il paziente si adegua, mentre aderenza terapeutica implica una più attiva partecipazione del paziente alle scelte e una sua condivisione di responsabilità col medico.

Sempre più spesso, poi, si parla di empowerment del paziente inteso come processo educativo che aiuta i pazienti a sviluppare le conoscenze, le capacità, le attitudini e il grado di consapevolezza necessari ad assumere efficacemente le responsabilità delle decisioni attinenti la propria salute,

E ancora, c’è un termine di uso più recente: concordanza, che esprime il concetto di alleanza terapeutica tra medico e paziente e include una negoziazione

E poi c’è il patient engagemen, un concetto importante, soprattutto nell’ambito clinico assistenziale della cronicità, in quanto include compliance, aderenza terapeutica, empowerment e concordanza e riguarda l’intero sistema che comprende il paziente, i caregiver e i curanti, prima di tutto il medico, ma anche il farmacista e il personale sanitario e combina fattori di natura individuale, relazionale, organizzativa, sociale, economica e politica che connotano il contesto di vita della persona.

Tanti vocaboli che esprimono concetti simili dimostrano solo che, ancora, l’attenzione a cosa avviene dopo l’emissione della ricetta è qualcosa che riguarda più gli esperti dell’argomento e che, ancora, non è entrata nell’attività quotidiana.

Personalmente credo che nessuno di questi approcci sia in assoluto giusto o sbagliato, ma che per alcuni pazienti ci siano scelte più o meno efficaci.

Difficilmente, però, la vecchia, ma tuttora esistente, modalità per cui la prescrizione viene fatta frettolosamente al termine della visita, talvolta persino scrivendo con la famosa “calligrafia da medico”, a volte senza neanche specificare quando assumere il farmaco o per quanti giorni, sia un metodo obsoleto ed esecrabile.

Penso anche che sia necessario uscire dallo schema consolidato che la visita medica sia composta da anamnesi, che include eventuali controlli di esami, visita, diagnosi e prescrizione della terapia: la prescrizione non è la fine dell’incontro medico-paziente, ma l’inizio della fase di utilizzo della terapia prescritta, ed è delicata.

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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