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Gli alibi

Gli alibi servono solo per dimostrare che non eravate sul luogo del delitto

Un alibi è la dimostrazione di non essere presenti in un dato luogo in una data ora.
Solo questo. Gli alibi servono dal punto di vista legale.
In genere, sono davvero poche le occasioni in cui si ha bisogno di un alibi.
Eppure usiamo alibi costantemente per offrire agli altri, ma soprattutto a noi stessi, buone motivazioni per non fare una qualsiasi cosa.
Chiariamoci: come possono dirvi tutti i miei familiari, io sono considerata una persona pigra. E per di più, difendo accanitamente la mia pigrizia.
Quindi questo articolo non vuole assolutamente essere uno stimolo interventista, per fare o affrontare qualunque cosa subito.
Tutt’altro!
Durante la mia infanzia sono stata “invitata” più di quanto comunemente avviene a fare cose, correggere difetti, adeguarmi a ciò che gli altri desideravano che fossi. Salvo eccezioni (purtroppo presenti raramente) le persone che avevo attorno avevano un’idea ben precisa della figlia, sorella, studentessa ideale, e insistevano perché mi ci adeguassi, e non avevano alcun interesse a ciò che io desideravo essere o fare, opinione che veniva ritenuta superflua o sbagliata.
Un atteggiamento del genere non è, purtroppo, raro, ma continua ad essere molto fastidioso.
Per molti anni ho cercato di adeguarmi, ovviamente con scarsi successi, o di opporre alibi alle loro volontà.
Peccato che gli alibi, anche quando erano ben costruiti, credibili, e avevano successo, generavano in me una sorta di senso di colpa, e comunque richiedevano una fatica immane (a costruirli, a sostenerli).
E poi gli alibi, anche se li abbiamo determinati noi stessi, danno vita a costanti sensazioni di fallimento. Perché quando cominciamo a dirci, e a dire, “vorrei ma non posso”, qualunque sia il motivo per cui non posso, significa affermare che non siamo capaci, non siamo in grado, abbiamo fallito.
Fallimento e senso di colpa sono un’abbinata ottimale per essere infelici.
Finché un giorno ho cominciato a dire “potrei, ma non voglio”, e il mio mondo è cambiato.
Gli alibi non servono, serve invece la consapevolezza.
Ovviamente ci sono persone con cui non vogliamo essere brutali, ci sono situazioni in cui è bene dichiarare qualche alibi, ma bisogna costruirli bene, non crederci.
Esistono modi gentili per dire di no agli altri, ma l’apparente gentilezza di trovare scuse con noi stessi in realtà si paga a caro prezzo.

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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