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Esperienze: ciò che conta nella vita

C’è una frase che ripeto spesso, soprattutto in questi giorni... 

Ciò che conta, nella vita, non è ciò che accade o le esperienze che fai, ma cosa impari da ciò che accade e come usi le esperienze che fai.
Probabilmente chi mi segue ha già letto questa frase, o una molto simile: lo dico e lo scrivo spesso perché la trovo una grande verità che cambia, davvero, la vita.
Stamattina ho trovato la stessa frase su FB come citazione da un testo di Otto Scharmer riportata da un amico che ha tradotto in italiano uno degli ultimi libri. Otto Scharmer è “un grande”, un economista docente al MIT (Massachusetts Institute of Technology), fondatore del Presencing Institute, ed è uno di quelli che sta rivoluzionando il mondo del management, partendo dal concetto che per avere un mondo migliore, aziende più produttive, manager vincenti, bisogna costruire persone più umane e felici: una totale rivoluzione dei paradigmi del business da squali che, purtroppo, ancora impera.
Ecco dunque che ho deciso di parlarvi ancora dell’argomento: ciò che conta nella vita non è ciò che accade, ma come usi l’esperienza che fai.
I vantaggi di questo cambio di atteggiamento (mentale) sono numerosi. 
Se è importante come usi l’esperienza significa che, a fronte di un accadimento apparentemente negativo, invece di farsi annichilire da ciò che accade ci si impegna a fondo per trarne insegnamenti o vederne le opportunità intrinseche: si chiude una porta e si apre un portone.
  •  E poi costituisce un perfetto sistema per andare avanti, migliorare costantemente.
Per quanto mi riguarda il vantaggio maggiore che ne ho tratto è quello di non sentirmi mai impotente, e vi assicuro che non è cosa da poco.
Per qualcuno, invece, mette in atto un senso religioso di collegamento con Dio: l’esperienza diventa un segnale del divino, o dello spirito guida, che indirizza verso ciò che dobbiamo sperimentare e apprendere per la nostra evoluzione personale e spirituale.
Quando entriamo nell’ordine di idee di usare appieno le esperienze, la vita cambia decisamente, e in meglio. Perché non provare?

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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