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Servono ancora eroi?

Il termine eroe evoca capacità eccezionali, imprese straordinarie. Serve ancora?

L’eroe viene spesso inteso come un semidio: Ercole, Teseo, Achille ... E ancora oggi c’è un intero capitolo di filmologia dedicato ai super eroi, con capacità straordinarie, capaci di imprese impossibili ai più. Ma davvero sono questi gli eroi che cerchiamo, o che più ci servono? 
Eppure accanto a questo tipo di eroe si è sviluppata un’altra immagine, parallela eppure quasi preponderante: quella dell’uomo comune, non superdotato e spesso meno dotato di chi lo circonda, che pure compie imprese notevoli. 
Questo eroe, descritto da Campbell come l’eroe che compie un viaggio, si trova nelle favole, in Harry Potter, in Forrest Gump. Se il primo è l’eroe a cui affidarci, quello capace di salvarci senza che noi facciamo alcunché tranne ammirarlo, il secondo è l’eroe che ispira, colui che insegna ad affrontare le difficoltà, a non arrendersi, a migliorare noi stessi. 
È l’eroe che ci fa, talvolta, vergognare: se lui è riuscito, come posso io tirarmi indietro per le mie infinite paure di fallire?
E se l’eroe semidio dopo ogni impresa si gode il trionfo e cerca disperatamente una nuova impresa e nuovi applausi, l’eroe quotidiano alla fine torna a casa, si gode il silenzio e la pace, consapevole che forse dovrà ripartire, ma preferisce non pensarci. A guardar bene l’eroe quotidiano non ha nulla di eroico. 
Campbell, studiando i miti, descrisse il viaggio dell’eroe, il percorso che l’eroe compie in ogni mito, favola, racconto. Sono poi stati descritti gli archetipi del viaggio dell’eroe, e numerosi libri, molti dei quali affascinanti, per descrivere i passaggi e le trasformazioni. 
Poco importa, in realtà, quale percorso archetipico consideriamo valido o decidiamo di studiare: il viaggio dell’eroe descrive comunque sia la nostra vita sia ogni singola esperienza importante. Perché si è finalmente diffusa l’idea, che troviamo nei miti, nella PNL, nei testi di Otto Scharmer e che, in fondo, è bello condividere: non è l’esperienza ciò che conta, ma quello che sappiamo trarre da essa.
Ed è quasi eroico come questo pensiero sia diventato così capillarmente diffuso e condiviso in un mondo che sempre più si costruisce supereroi temporanei e molto acclamati. 
E, per tornare alla domanda iniziale, c’è assolutamente e sempre bisogno di eroi quotidiani, eroi capaci di ispirare e, forse, c’è bisogno che ognuno di noi sappia riconoscere e percorrere il proprio viaggio.

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Se due individui sono sempre d'accordo su tutto, vi posso assicurare che uno dei due pensa per entrambi. - Sigmund Freud.
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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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