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La tragedia in Malawi e Mozambico

Se ne parla poco: poche parole ai telegiornali o alla radio. Pochi immagineranno a cosa mi riferisco: il ciclone che ha messo in ginocchio il Malawi e nord del Mozambico.

Io li ho visti, ci sono stata, e per questo la tragedia mi ha colpito molto.

Sono andata in Malawi la prima volta agli inizi degli anni ’90. Un Paese povero, che aveva conquistato l’autonomia dall’impero britannico senza problemi: non ci sono le cosiddette “risorse naturali”, quindi non interessava a nessuno.
Sì, non c’è petrolio, uranio o diamanti, ma c’era una natura meravigliosa, che il governo aveva trasformato in molti parchi naturali. Dal punto di vista natura e paesaggi i due Paesi che più mi sono piaciuti nel mondo (e ne ho visti parecchi) sono Islanda e Malawi.
C’era miseria, e tanta, e la situazione non è cambiata negli anni. Ma la gente che ho incontrato era fantastica, e alcuni mi sono rimasti profondamente impressi.

Come il giovane che, dopo aver studiato in Inghilterra, era tornato nel suo Paese per aprire un servizio di trasporti a noleggio; attività che fino a poco prima era totalmente in mano alla comunità indiana. Una casetta nella periferia di Lilongwe (la capitale), con un cartello “office” sulla porta, un minuscolo ingresso e due porte. Una per il bagno (2 metri per due) e una con una scrivania, il cartello Manager. Niente telefono: ci voleva tempo, ma tanta gentilezza e professionalità.

E poi l’autista del bus che ci ha portato in giro per un mese. È diventato quasi un amico. Non aveva potuto studiare, ma parlava inglese. Lo parlavano tutti, soprattutto i bambini. Scuola obbligatoria, anche nei più minuscoli villaggi, per qualche anno. E i bambini, per strada, chiedevano agli stranieri penne e quaderni: non soldi o caramelle.

Ma torniamo a Doctor, in nostro autista, battezzato Doctor perché i genitori, quando è nato, non speravano più di avere figli, ma grazie al dottore ne hanno avuti due: lui e sua sorella, che ha studiato da infermiera.
Il Malawi è uno dei rari Paesi dove ancora, in un piccola regione, vige il matriarcato, così chiedevo informazioni a Doctor. Lui non apparteneva a quell’etnia, ma mi ha raccontato, con orgoglio, che il suo popolo ha il massimo rispetto per le donne, portandomi alcuni esempi. In famiglia aveva studiato sua sorella, non lui, perché sua sorella era più brava a scuola. Niente male come diritti della donna.

E poi, con orgoglio, mi raccontò che aveva pagato sua moglie due mucche e una capra: un prezzo altissimo perché sua moglie era una donna speciale, e quando l’ha sposato aveva anche già due figli. Forse durante il racconto la mia faccia esprimeva perplessità, così mi parlò della moglie, con amore e orgoglio, e mi disse che era una donna forte e intelligente, aggiungendo “come te. Alla fine del viaggio, tornati a Lilongwe, mi chiese se poteva presentarmi la moglie. Li invitammo a cena. E i miei pregiudizi sul fatto che “comprare la moglie” fosse segno di una società che ritiene la donna inferiore si dissolsero come neve in un forno caldo.

Sono tornata in Malawi quasi dieci anni dopo. Sempre un Paese povero. Sempre gente gentile. Molto era cambiato come strutture turistiche: ho dormito in posti fantastici, costruiti in perfetta integrazione col paesaggio.
In quell’occasione ho vistato parte del nord del Mozambico. Strade infernali, e la prima raccomandazione era di non allontanarsi dal ciglio della strada per più di 5 metri: l’unica area che era stata ripulita dalle mine antiuomo, residuo della guerra civile. A Pemba, splendido posto sull’oceano indiano, un ragazzino che avrà avuto circa 12 anni mi ha spiegato la sua strategia commerciale (vendeva souvenir, come molti altri, tutti più grandi di lui): la miglior lezione di marketing che ho avuto nella mia vita (e, a quei tempi, ero dirigente nel marketing di una multinazionale).

Ho ricordi meraviglio di Malawi e Mozambico, e anche un pizzico di nostalgia. Prego per tutti loro.

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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