Lo si legge ovunque: è importante festeggiare le vittorie, assaporare i trionfi. Non lo nego. Ogni vittoria, per piccola che sia, produce una scarica di dopamina, uno dei mediatori chimici della felicità.
Festeggiare la vittorie fa bene, e ci fa bene.
Personalmente sostengo che sia importante anche inventarsi un rituale di festeggiamento per le sconfitte.
Riflettiamo un attimo, e facciamo un’analogia.
Eppure, passata une certa età, si impara che esiste una sorta di gratitudine per chi ci ha fatto del male: in fondo ci ha insegnato chi e cosa non vogliamo essere, ed è una lezione importante.
Chi ci ha danneggiato ci ha insegnato chi e cosa non vogliamo diventare, ci ha fatto conoscere i nostri limiti e le nostre debolezze e sì, imparando a governare la rabbia e a rinunciare al rancore, ci ha aiutato a diventare persone migliori. Per lo meno, migliori di loro.
Brindo felicemente a chi mi ha sostenuto, e brindo con un grande vaffa a chi ha cercato in molti modi di affossarmi: non ci sono riusciti.
Questo vale anche per la vita.
Talvolta la vita porta al trionfo, alla vittoria, talvolta alla sconfitta.
Fa tutto parte del gioco. L’importante è non cercare colpevoli, e riconoscere i propri meriti senza arroganza e i propri errori senza sentirsi incapaci.
Il festeggiamento della sconfitta non è un atto consolatorio. Non si beve fino a stordirsi: si brinda.
Riconoscere la sconfitta, o il fallimento, non è mica facile. Pensa a tutte quelle persone (ne conosco tante) che quando non trionfano cercano, all’esterno, di chi è la colpa: tutto pur di evitare di dire che hanno sbagliato. Ci sono tanti modi di sbagliare!
E non di rado l’errore è una delle migliori fonti di apprendimento.