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Rimanere a galla o galleggiare?

Periodo di fiacca: mi stanco facilmente e ho carenza di entusiasmo.

Niente di che: sto bene, lavoro, seguo diverse cose.

Eppure…

Gli eventi dello scorso anno sono stati una batosta clamorosa, di quelle che lasciano il segno. Sono, metaforicamente, caduta, mi sono fatta molto male e mi sono rialzata in piedi, sempre metaforicamente. Mi sono rialzata piuttosto in fretta, tutto considerato, ma con strascichi di ansia e incubi notturni non completamente risolti.

Talvolta il desiderio, o la necessità, di rimanere a galla impone un dispendio di energie davvero esagerato. E allora?

Seguo il consiglio dell’esagramma 29 dell’I Ching.

È un esagramma da molti ritenuto orribile perché parla di difficoltà e pericolo, però contiene ottimi suggerimenti e persino il lieto fine.

Descrive una situazione in cui è come essere immersi in un impetuoso torrente: c’è il rischio di annegare o di sbattere contro le rocce, però l’acqua giunge sempre al mare, quindi lasciandosi andare alla corrente, respirando quando è possibile, si arriverà alla salvezza e al successo.

Inutile affannarsi per rimanere a galla: meglio galleggiare.

Lo so, anche gli str... galleggiano! O forse l’inghippo è proprio lì.

Aiutare gli altri, soprattutto le persone più vicine, non significa dare fondo alle proprie energie.

Nell’ultimo anno mi sono comportata come il calzolaio che va in giro con le scarpe bucate.

Trascorro parte del mio tempo a supportare i caregiver nel trovare volontà e soluzioni per aiutare e aiutarsi, dedicarsi agli altri senza sacrificare loro stessi.

Ci sono modalità, trucchi e soluzioni per farlo.

E ho dimenticato di usare per me tutto ciò che so, ho imparato e insegno. La preoccupazione per il coniuge (e anche per il mio amato Chopin) era diventata sovrastante e la paura di non farcela, crollando io come ho fatto lo scorso anno, mi ha reso irragionevole.

So bene che la mia sensazione di inadeguatezza, il non essere mai abbastanza, pesante condizionamento che mi ha lasciato mio padre, ha giocato un ruolo importante. So che c’è, pazientemente elaborata, ma sempre pronta ad emergere. Approfitta dei momenti difficili, della stanchezza, e cerca di ripresentarsi. Ti ricordi di me? sono la tua sindrome di inadeguatezza!

No, non cerco un’impossibile perfezione. Cerco solo, e sempre, di fare del mio meglio.

E ora il mio meglio è galleggiare, fare il morto come quando, da bambina, mi lasciavo trasportare.

Arriverò al mare, lo so

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Ero in farmacia, in attesa. Un’attesa piuttosto lunga visto che si trattava di una farmacia che fa il servizio di prenotazione degli esami e delle visite. Mi annoiavo ed ho cominciato a guardarmi attorno e, confesso, ad ascoltare le chiacchiere degli altri utenti in attesa. Mi ha fatto piacere incontrarti, ma perché vieni in questa farmacia? Non c’è la farmacia XXX più vicino a casa tua ? Sì, la farmacia XXX è decisamente più vicina, ma qui sorridono. Lì sono sempre scorbutici e a volte rispondono anche scocciati se chiedi informazioni. Forse è perché … Ecco. Smetto di ascoltare, e non saprò mai il presunto motivo per cui, nell’altra farmacia, sono scorbutici. Il dialogo è stato illuminante soprattutto per chi, come me, si occupa di comunicazione e management. Mi occupo, e preoccupo, di insegnare tecniche, di cercare le parole giuste, di spiegare modalità di comunicazione, di identificare esempi e suggerimenti, di incrementare hard skills e soft skills, ma ci si dimentica dell’essenziale: il sorriso . Entrare in farmacia, per qualunque motivo, e trovare il farmacista che sorride è un validissimo motivo per scegliere una farmacia invece di un’altra, magari più comoda. Però, attenzione, deve trattarsi di un sorriso vero. Esiste una netta differenza tra un vero sorriso e uno falso, voluto, determinato da movimenti volontari dei muscoli facciali. La differenza è dimostrabile tecnicamente, e per moltissime persone è percepibile a livello inconscio. Il farmacista che sorride non fa una smorfia movimentando le labbra all’insù: sorride veramente. Eppure anche il farmacista può avere problemi personali, attraversare un periodo nero, essere triste o preoccupato. Ciò che spesso dimentichiamo è che siamo noi ad avere uno specifico stato d’animo, e invece spesso ci comportiamo come se fosse lo stato d’animo, soprattutto se negativo, ad avere il pieno possesso di noi. È assolutamente possibile accantonare uno stato di infelicità per un certo periodo, dando spazio a veri sorrisi. Come? Qui le tecniche, gli esercizi e le riflessioni contenuti anche in questo sito, possono essere di aiuto: pensieri felici, meditazione, comunicazione, possono fare la differenza, quando è necessario. Ma il primo passo è personale: bisogna volerlo. Per quanto storte vadano le cose, ogni tanto si può dare una vacanza al dolore, dedicarsi agli altri, anche fornendo sorridendo la medicina prescritta o il consiglio richiesto.
Autore: Carla Fiorentini 15 settembre 2024
Da molti anni il mondo delle aziende utilizza quello che viene definito management by objective : gestione per obiettivi . Si tratta di definire uno o più obiettivi e perseguirli per un certo periodo di tempo. La scuola si è poi adeguata, anche se non sempre parla di obiettivi o di piani strategici, ma si affida ad una serie di sigle e burocrazie che, più o meno, hanno la stessa funzione. Parlare quindi di obiettivi per il nuovo anno scolastico è del tutto legittimo. Eppure … La gestione per obiettivi ha, da tempo, evidenziato una serie di limiti e problemi nel mondo aziendale , ed è triste vedere la scuola che, in ritardo, si adegua ad imitare anche gli errori dell’industria. Attenzione, però, non prendere questo come una scusa per non pianificare il nuovo anno alle porte, anzi. Si tratta di aggiungere, non di togliere. Se mi seguite sapete bene che io mi fisso una serie di obiettivi, in diverse occasioni, dunque apparentemente faccio qualcosa che ho appena dichiarato inutile. Dov’è il trucco? Gli obiettivi servono, funzionano, hanno un senso solo se inseriti in un contesto di Vision, cioè di aspirazione e desiderio globale di realizzazione di qualcosa di importante. La Vision offre il contesto da realizzare, gli obiettivi discendono da questo e permettono, a loro volta, di tradurre in azioni pratiche e giungere alla realizzazione concreta. Il consiglio è quindi di utilizzare queste ultime settimane prima dell’inizio delle lezioni per identificare la vostra Vision, in vostro sogno per il nuovo anno. Ti chiedi quali sono le differenze sostanziali tra obiettivi e vision? La risposta, per quanto limitata all'essenziale, è nella vignetta qui sotto. Gli obiettivi sono, sostanzialmente, contenuti anche nei programmi ministeriali. Personalmente suggerisco di dedicare un po' di tempo a ragionarci su, declinarli, scriverli con un linguaggio che risuoni. Tuttavia gli obiettivi sono fortemente razionali: cosa insegnare, come, in quali tempi, quali livelli di conoscenza far sviluppare negli studenti... In pratica, gli obiettivi servono per riempire il secchio delle competenze. La vision è il sogno da condividere e realizzare insieme alla classe, e ad ogni singolo studente. In pratica, quale fuoco accendere. Nella vision possiamo stabilire che tipo di atmosfera vogliamo creare, quali valori desideriamo trasmettere, che insegnante desideriamo essere, quale impronta lasciare per il futuro della classe e di ogni singolo studente, e molto altro.
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