Le soft skills dimenticate
Ci sono alcune competenze che il mercato sembra non richiedere, eppure servono e si possono imparare.

Il mondo del lavoro chiede ancora competenze di analisi, e infatti ci sono corsi che insegnano a farlo. Eppure … vi è mai capitato di assistere, o di partecipare, ad una riunione in cui si analizza, ad esempio, perché il lancio di un prodotto è andato bene o è andato male? O di leggere relazioni su questi argomenti?
È imperativo dire solo quello che è conforme al pensiero comune in azienda, quando non diventa imperativo assimilarsi al pensiero del capo. Però più o meno tutti sanno che non si usa più cercare i colpevoli, quindi si assiste a strani giri di parole (e di pensiero) da far invidia ai Brooks Brothers dell’ormai mitologico film: alla fine sono state le cavallette. Per non cercare i colpevoli si evita di esaminare gli errori. Peccato che siano due cose completamente diverse.
Non c’è ricerca del colpevole nel dire, ad esempio, che il proprio reparto ha sottovalutato l’impatto di un concorrente, o che la produzione ha sottostimato i tempi tecnici e vorremmo scoprire perché è avvenuto, per non ripetere l’errore la prossima volta, così al prossimo lancio di prodotto potremo fare errori diversi.
Ma il problema non è esattamente quello descritto.
Ciò che viene abitualmente evitato è di esporsi, quindi di pensare e parlare dal profondo dell’anima.
I vecchi imprenditori che hanno determinato il boom economico italiano erano un po’ rozzi, forse, ma pienamente sinceri. Ora si applica l’apparente piena sincerità solo all’urlo demagogico della politica. Eppure si può parlare con l’anima senza urlare, anzi, la parte più profonda di noi argomenta sottovoce.
Lo sputtanamento è forse la cosa più temuta al giorno d’oggi. Così siamo tutti felici e pieni di successo, oppure lamentosi senza costrutto, a scelta, ma evitiamo accuratamente di sputtanarci.
Non contenti di trattenere parole, tratteniamo pensieri ed emozioni, spostando la parte emozionale ed emotiva della nostra vita su qualcosa che non può sputtanarci, come la squadra del cuore. E se ci pensiamo bene non è strano che le patologie più frequenti nei manager siano la gastrite, il reflusso (e ogni sera, a cena, mi tocca sentire i problemi di Paolo e Marco che si ritrovano uno stomaco che fa schifo), la disidrosi cutanea causata da eccessivi lavaggi (forse, a giudicare dalla metropolitana, la gente si preoccupa poco delle ascelle, ma tenta disperatamente di lavarsi l’anima con i più disparati detergenti). Per non parlare di Activia, ma quello sembra essere un problema femminile …
Pensateci bene: se in una ricerca di candidati, per qualunque tipo di attività, fosse inclusa come skill richiesta l’onestà di pensiero e di azioni, non pensereste ad una falsa ricerca?
Eppure cominciano ad esserci numerose segnalazioni che il manager che sa andare nel profondo del suo cuore, della suo cervello, della sua anima, e ne trae pensieri, parole e idee, riesce ad essere più felice, più innovativo e ad avere maggiore successo. OK, sono tutti input che arrivano dall’estero. Ma io non dispero.

La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …







