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Le posizioni percettive: mettersi nei panni degli altri

Ascoltare è una tecnica, un’arte. Ma ascoltare è soprattutto un’abitudine, che va allenata.

Se smettiamo di ascoltare gli altri, a poco a poco perderemo anche l’abitudine di ascoltare noi stessi.
Esistono tecniche ideate per ascoltare, come l’ascolto attivo o l'ascolto empatico, che vengono applicate quando si dialoga, ma non è l’unico sistema per ascoltare.
Un diverso sistema di “ascolto” è quello di cambiare posizione percettiva.
In questo caso si può fare tutto da soli, perché si tratta di ascoltare diversi punti di vista senza che l’altro interlocutore sia presente. È un vero e proprio esercizio di flessibilità mentale (ed è particolarmente utile anche per questo), ma è anche una modalità interessante per potenziare la compliance del paziente.
  • La definizione di cambiamento di posizione percettiva viene dalla PNL, ma il concetto di mettersi nei panni altrui è proprio di ogni cultura: gli indiani d’America lo esprimevano come “indossare i mocassini dell’altro”. Eppure in questo caso non parliamo di empatia, ma di un sistema più complesso e strutturato.
Esistono quattro possibili posizioni percettive, e dunque quattro diversi punti di vista:
  1. il proprio
  2. quello dell’interlocutore
  3. quello di una sorta di mediatore, coinvolto, ma neutrale
  4. quello di una persona totalmente estranea, osservatore esterno
Il proprio punto di vista è definito “di forza”, è la posizione che potenzia l’affermazione di sé e l’autostima. Osservare le cose dal proprio punto di vista, dalla prima posizione percettiva, aiuta a chiarire “cosa voglio io, qual è il mio obiettivo”.
Il punto di vista dell’interlocutore è definito “di compassione” e aumenta l’empatia. Osservare le cose dal punto di vista dell’altro, dalla seconda posizione percettiva, aiuta ad immedesimarsi, a comprendere i bisogni e i desideri altrui e le motivazioni dell’altro.
La terza posizione percettiva è definita “di mediazione”, ed è quella che incentiva un compromesso tra ciò che voglio io e ciò che vuole il mio interlocutore. In pratica:
  • io voglio che il paziente faccia ancora esercizio fisico
  • il paziente vuole riposarsi
  • La posizione di compromesso induce a suggerire “ancora qualche minuto, ancora solo cinque esercizi”.
Oppure 
  • Io ritengo necessario che il paziente assuma un determinato principio attivo
  • Il paziente ha difficoltà perché il prodotto suggerito ha un pessimo sapore
  • La posizione di compromesso induce a cercare una forma farmaceutica diversa dello stesso principio attivo.
La quarta posizione percettiva è definita “di negoziazione” poiché la visione sistemica dall’esterno, che tiene conto dei desideri di entrambe ed osserva i possibili compromessi, induce a cercare una nuova soluzione basata su bisogni profondi, non necessariamente espressi durante il dialogo, ma comunque osservabili.
In pratica:
  • io vorrei andare al mare per una settimana
  • mio marito vuole andare in montagna
  • il compromesso direbbe qualche giorno di mare e qualche giorno di montagna, oppure una località che consenta sia il mare che la montagna.
Il negoziato avviene quando si va oltre il puro desiderio espresso e si comprendono i bisogni profondi. Ad esempio per me andare al mare significa la possibilità di uscire la sera a divertirmi e per mio marito la montagna equivale alla possibilità di fare lunghe passeggiate. La soluzione negoziale potrebbe quindi contemplare un viaggio organizzato che preveda un trekking. 
Consciamente o, più spesso, inconsciamente, per ottimizzare la compliance del paziente il terapeuta ricorre spesso all’analisi delle posizioni percettive.

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Ero in farmacia, in attesa. Un’attesa piuttosto lunga visto che si trattava di una farmacia che fa il servizio di prenotazione degli esami e delle visite. Mi annoiavo ed ho cominciato a guardarmi attorno e, confesso, ad ascoltare le chiacchiere degli altri utenti in attesa. Mi ha fatto piacere incontrarti, ma perché vieni in questa farmacia? Non c’è la farmacia XXX più vicino a casa tua ? Sì, la farmacia XXX è decisamente più vicina, ma qui sorridono. Lì sono sempre scorbutici e a volte rispondono anche scocciati se chiedi informazioni. Forse è perché … Ecco. Smetto di ascoltare, e non saprò mai il presunto motivo per cui, nell’altra farmacia, sono scorbutici. Il dialogo è stato illuminante soprattutto per chi, come me, si occupa di comunicazione e management. Mi occupo, e preoccupo, di insegnare tecniche, di cercare le parole giuste, di spiegare modalità di comunicazione, di identificare esempi e suggerimenti, di incrementare hard skills e soft skills, ma ci si dimentica dell’essenziale: il sorriso . Entrare in farmacia, per qualunque motivo, e trovare il farmacista che sorride è un validissimo motivo per scegliere una farmacia invece di un’altra, magari più comoda. Però, attenzione, deve trattarsi di un sorriso vero. Esiste una netta differenza tra un vero sorriso e uno falso, voluto, determinato da movimenti volontari dei muscoli facciali. La differenza è dimostrabile tecnicamente, e per moltissime persone è percepibile a livello inconscio. Il farmacista che sorride non fa una smorfia movimentando le labbra all’insù: sorride veramente. Eppure anche il farmacista può avere problemi personali, attraversare un periodo nero, essere triste o preoccupato. Ciò che spesso dimentichiamo è che siamo noi ad avere uno specifico stato d’animo, e invece spesso ci comportiamo come se fosse lo stato d’animo, soprattutto se negativo, ad avere il pieno possesso di noi. È assolutamente possibile accantonare uno stato di infelicità per un certo periodo, dando spazio a veri sorrisi. Come? Qui le tecniche, gli esercizi e le riflessioni contenuti anche in questo sito, possono essere di aiuto: pensieri felici, meditazione, comunicazione, possono fare la differenza, quando è necessario. Ma il primo passo è personale: bisogna volerlo. Per quanto storte vadano le cose, ogni tanto si può dare una vacanza al dolore, dedicarsi agli altri, anche fornendo sorridendo la medicina prescritta o il consiglio richiesto.
Autore: Carla Fiorentini 15 settembre 2024
Da molti anni il mondo delle aziende utilizza quello che viene definito management by objective : gestione per obiettivi . Si tratta di definire uno o più obiettivi e perseguirli per un certo periodo di tempo. La scuola si è poi adeguata, anche se non sempre parla di obiettivi o di piani strategici, ma si affida ad una serie di sigle e burocrazie che, più o meno, hanno la stessa funzione. Parlare quindi di obiettivi per il nuovo anno scolastico è del tutto legittimo. Eppure … La gestione per obiettivi ha, da tempo, evidenziato una serie di limiti e problemi nel mondo aziendale , ed è triste vedere la scuola che, in ritardo, si adegua ad imitare anche gli errori dell’industria. Attenzione, però, non prendere questo come una scusa per non pianificare il nuovo anno alle porte, anzi. Si tratta di aggiungere, non di togliere. Se mi seguite sapete bene che io mi fisso una serie di obiettivi, in diverse occasioni, dunque apparentemente faccio qualcosa che ho appena dichiarato inutile. Dov’è il trucco? Gli obiettivi servono, funzionano, hanno un senso solo se inseriti in un contesto di Vision, cioè di aspirazione e desiderio globale di realizzazione di qualcosa di importante. La Vision offre il contesto da realizzare, gli obiettivi discendono da questo e permettono, a loro volta, di tradurre in azioni pratiche e giungere alla realizzazione concreta. Il consiglio è quindi di utilizzare queste ultime settimane prima dell’inizio delle lezioni per identificare la vostra Vision, in vostro sogno per il nuovo anno. Ti chiedi quali sono le differenze sostanziali tra obiettivi e vision? La risposta, per quanto limitata all'essenziale, è nella vignetta qui sotto. Gli obiettivi sono, sostanzialmente, contenuti anche nei programmi ministeriali. Personalmente suggerisco di dedicare un po' di tempo a ragionarci su, declinarli, scriverli con un linguaggio che risuoni. Tuttavia gli obiettivi sono fortemente razionali: cosa insegnare, come, in quali tempi, quali livelli di conoscenza far sviluppare negli studenti... In pratica, gli obiettivi servono per riempire il secchio delle competenze. La vision è il sogno da condividere e realizzare insieme alla classe, e ad ogni singolo studente. In pratica, quale fuoco accendere. Nella vision possiamo stabilire che tipo di atmosfera vogliamo creare, quali valori desideriamo trasmettere, che insegnante desideriamo essere, quale impronta lasciare per il futuro della classe e di ogni singolo studente, e molto altro.
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