Gestione dei collaboratori: il feedback

Feedback è un termine molto usato da chi si occupa di gestione delle persone, ma spesso il significato del termine è poco chiaro

Feedback: letteralmente significa riscontro. Se poi cerchiamo nel dizionario di italiano dei sinonimi per "Riscontro" troviamo confronto, raffronto, verifica.
Certo, con la moda dei vocaboli inglesi che imperversa, tutti abbiamo usato il termine feedback a proposito e a sproposito.
Nelle aziende il feedback è di gran moda.
  • Ti do un feedback della tua presentazione in riunione.
  • Ti mando il lavoro, poi mi dai un feedback?
Una parte della retribuzione è legata al raggiungimento degli obiettivi. La valutazione degli obiettivi viene fatta una volta all'anno, ma durante l'anno sono necessari almeno tre feedback.
Tutte frasi che ho sentito innumerevoli volte.
Ma cosa vuol dire, esattamente, feedback?
Che caratteristiche ha un feedback?
In comunicazione, nella programmazione neurolinguistica e nel coaching, il termine feedback ha un significato ben preciso. Però, purtroppo, in molti casi si usa il termine e si butta il significato. Recentemente mi è capitato di chiedere "cosa intendi per feedback" ad alcuni funzionari d'azienda che usavano il vocabolo ad ogni piè sospinto.
Queste sono alcune delle risposte, e vi risparmio le peggiori.
  • Un giudizio di cosa è stato fatto di positivo e negativo.
  • Una valutazione di cosa è giusto e cosa è sbagliato.
  • Un'analisi di cosa va bene e cosa non va.
  • Una indicazione di cosa una persona deve fare e cosa no.
Anche ponendo domande e chiedendo chiarimenti, solo raramente sono riuscita ad ottenere qualcosa che si avvicinasse al nocciolo del concetto. Il fatto è che queste definizioni non sono totalmente errate, ma sono drammaticamente parziali.
perché il bello del feedback è il "cosa" analizza, molto più del "come" fa l'analisi.
Credetemi, la differenza è sostanziale!

Il feedback è un'analisi e una valutazione. Ciò che conta è che viene analizzato e valutato quello che è stato fatto in funzione dell'obiettivo che si voleva raggiungere, ma non viene mai valutata la persona.
Esistono vari modi per valutare un compito, o un lavoro svolto, o perfino un comportamento.
Il tuo comportamento in riunione è stato deprecabile. Hai parlato quando non eri interpellato e non hai risposto esaurientemente alle domande che ti erano state fatte.
Sicuramente è una valutazione dura e severa, ma può essere necessaria.
La stessa situazione potrebbe però anche essere espressa così:
Sei un cafone logorroico e un incompetente. In riunione hai parlato troppo e a sproposito e non hai saputo rispondere alle domande.
 
Nel primo caso l'accento è stato posto sul comportamento errato, ma nel secondo caso è stata attaccata e condannata la persona, e questo (oltre ad essere inaccettabile) non è un feedback, con buona pace di tutti i cosiddetti manager che si avvalgono del loro biglietto da visita e dei loro inglesismi per sentirsi importanti.
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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