È psicosomatico?

Si parla molto di malattie psicosomatiche, taluni rifiutano anche solo la definizione, altri, all’opposto, … Eppure ... 

Ho amiche che si ammalano spesso, con una certa fantasia: quasi ogni settimana una malattia diversa. Ma guai a parlare di malattie psicosomatiche! I loro mali sono sempre organici, organicissimi! 

Altri, invece, vivono come psicosomatico qualunque problema, rifiutano i medicinali, e pensano che un buon massaggio e un po’ di meditazione possano risolvere praticamente tutto. 

Non mi sento di dare drasticamente torto o ragione a nessuna delle due categorie, ma so che quando qualcosa non va divento più facilmente preda di malattie. 

La neurofisiologia sta dimostrando, con metodi rigorosamente scientifici, i legami tra mente e corpo, mentre la fisica quantistica ha ampiamente dimostrato che tutto è collegato.
  • Il mal di stomaco collegato all’ansia, che potremmo definire una classica patologia psicosomatica, è a tutti gli effetti un mal di stomaco e può arrivare a generare patologie ben più gravi. 
  • Analogamente sarebbe sciocco sostenere che una malattia grave non abbia conseguenze psicologiche. 
Forse sarebbe tempo che tutti noi, medici, pazienti, operatori sanitari, uscissimo dal gap di definizioni parziali e contrapposte per tornare a pensare all’individuo come un’unica unità, per quanto complessa e sfaccettata. 
Forse per curare una lavatrice è sufficiente sostituire il pezzo che si è rotto, ma non con l’essere umano. 

Da bambina, molti anni fa, imparai i primi rudimenti di anatomia (non era difficile, con un padre autore di testi scolastici di scienze), poi continuai alle scuole superiori, all’università e ancora oggi, a distanza di oltre cinquant’anni.
  • Un tempo molti organi del nostra corpo erano considerati quasi inutili, o almeno non se ne conoscevano le funzioni: timo, appendice, adenoidi. Poi, poco alla volta, ne sono state comprese le funzioni. 
  • Un tempo erano gli spiriti ad inviare malattie, poi abbiamo conosciuto i batteri.
Evolversi, imparare, approfondire, significa acquisire qualcosa di nuovo, e anche abbandonare vecchie conoscenze rivelatesi errate o obsolete.
Ecco, credo che la domanda se una malattia sia o meno psicosomatica sia una di quelle da abbandonare, sostituendola con la consapevolezza che la nostra parte neurale, ovunque sia situata, è parte integrante e strettamente collegata a tutte le altre parti dell’organismo.
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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