Gesti ingannevoli
Comunicazione non verbale

La Storia
L’altro giorno è entrato in farmacia un cliente palesemente straniero, e questo è quello che è successo.
- Buon giorno
- Buon giorno, posso aiutarla? Can I help you?
Niente inglese, niente francese: avevamo davvero poche possibilità di intenderci. Rimanevano i gesti.
Così, a gesti, ho chiesto cosa voleva. Mi ha guardato esterrefatto!
Lui, poi, si è appoggiato un dito sulla tempia, e io ho pensato che mi dicesse che sono pazza. Così è toccato a me guardarlo perplessa.
Vedendo che non reagivo mi ha detto “male … head … testa”
Ho capito che aveva mal di testa. Gli ho fatto cenno di OK, ma ha continuato a guardarmi male. Allora gli ho dato un Moment, e gli ho fatto vedere quanto costava. Ma che fatica!
Domande
È noto che ci si può capire anche in base ai gesti e al tono della voce.
- Sapete quanto, in percentuale, di una comunicazione è imputabile comunicazione non verbale e paraverbale?
- Sia il farmacista che il paziente compiono gesti che ritengono esplicativi. Perché non si capiscono?
Risposte
Sapete quanto, in percentuale, di una comunicazione è imputabile comunicazione non verbale e paraverbale?
Il 7% della comunicazione è costituito dalla comunicazione verbale, cioè dalle parole, dal loro significato, e dalla costruzione sintattica della frase.
Il 38% della comunicazione è costituita dal paraverbale, cioè dal modo con cui emettiamo le parole (tono, volume, timbro di voce, ritmo, ecc.), che afferisce all’inconscio.
Il restante, e preponderante, 55% è la comunicazione non verbale, il cosiddetto “Linguaggio del Corpo”, che consiste nell’insieme di gesti, posture, contatto visivo e molto altro, anch’esso afferente all’inconscio.
Sia il farmacista che il paziente compiono gesti che ritengono esplicativi. Perché non si capiscono?
Perché la maggior parte dei gesti che, in maniera consapevole, utilizziamo per esprimere un particolare concetto, sono fortemente legati alla cultura o ad una specifica area geografica. Hanno quindi spesso significati diversi in Paesi o culture diverse.

La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …








