Theory U
Un articolo su un argomento che, almeno per me, è speciale

Ciò che viene definita Theory U
riguarda il management, la leadership, il mondo degli affari ma, o forse soprattutto, riguarda la vita in toto.
Tutto nasce da un gruppo di consulenti che si occupano di innovazione, complessità e leadership, ma sono persone speciali.
Si tratta di Peter Senge, Joseph Jaworski, Otto Scharmer, e altri: docenti al MIT di Boston, consulenti di multinazionali enormi, e di parecchi governi. Ecco quello che ho già scritto in proposito nel mio libro Volontà e destino - L’I Ching come mentore nella vita quotidiana.
“È evidente che, nella nostra epoca, ci sono diverse problematiche che non si riesce ad affrontare. L’aumento della complessità, la globalizzazione, l’accelerazione di tutto, dal nostro stile di vita all’evolversi della realtà e delle problematiche. Non basta sapere che tutto è collegato, non basta neanche riconoscere i collegamenti. Otto Scharmer scrive: “Viviamo in un momento di vasti fallimenti istituzionali, e nel quale stiamo creando collettivamente risultati che nessuno individualmente vorrebbe. Cambiamenti climatici. AIDS. Fame. Povertà. Violenza. Terrorismo. Distruzione di comunità, della natura, della vita, le fondamenta del nostro benessere sociale, economico, ecologico, e spirituale. Questo momento richiede una nuova coscienza e una nuova capacità di leadership collettiva per affrontare le sfide in un modo più consapevole, intenzionale, e strategico. Lo sviluppo di una tale capacità ci permetterà di creare un futuro con grandi possibilità.”
La domanda, ed è davvero un gran domanda, è comprendere se esiste una modalità per affrontare le sfide, e capire quale può essere. Il primo passo è stata la comprensione dei limiti esistenti e la descrizione di ciò che è chiamato “il punto cieco della leadership”. In molti anni di attività con alcuni dei più importanti e potenti personaggi del nostro tempo Otto Scharmer, Peter Senge, Joseph Jaworski (e altri) hanno chiesto e esaminato il processo di decisionalità vincente e innovatrice, osservando come l’elemento più importante (e vincente) sia quello interiore. Joseph Jaworski, nel libro Presence, a tal proposito dichiara: “Sapete, alla fine, l’unico cambiamento in grado di fare la differenza è la trasformazione del cuore umano”.
Illuminante, vero?
Il punto cieco è quindi l’interiorità che induce la trasformazione del cuore umano.
L’altro elemento studiato, e l’altra definizione illuminante, è il futuro. Anni fa, e neanche moltissimi anni fa, nelle aziende si poteva pianificare semplicemente sviluppando le conseguenze dell’oggi in maniera lineare. Siamo tutti consapevoli che procedere in questo modo al giorno d’oggi sarebbe pura follia, oltre che un sicuro fallimento del business.
La risposta è piuttosto complessa, ma è stata data sempre dallo stesso gruppo di guru del business, e funziona! Si tratta, detto in modo semplicistico e grossolano, di esaminare attentamente la realtà presente, fare ipotesi considerando il possibile e l’impossibile, osservare le tendenze, fare scelte consapevoli e infine, la magia: lasciare emergere il futuro.
Il futuro che emerge
è il punto di connessione tra la profonda conoscenza e il profondo cambiamento interiore. Ovviamente, poi, non finisce qui: bisogna provare, sperimentare, adeguare, cambiare, adattare, … Come si realizza tutto questo? Come si può fare?
Ecco la U che dà il nome alla teoria, che trovate in figura.
Si tratta, detto banalmente, di fare una serie di cose la cui spiegazione dettagliata richiede diversi articoli, quindi ne riparleremo. In sintesi:
- Scaricare i vecchi modelli, le convinzioni, le abitudini di pensiero, i pregiudizi.
- Sospendere il giudizio, sospendere le aspettative, sospendere anche i desideri.
- Aprire la mente.
- Osservare.
- Reindirizzare, spostare l’attenzione dalla superficie al profondo, andare oltre le apparenze.
- Aprire il cuore, superare il mondo del razionale
- Percepire
- Lasciar andare. Per accogliere il nuovo, qualunque esso sia, è indispensabile lasciar andare il vecchio.
- Aprire la volontà.
- Presencing. Ho lasciato il termine inglese originale poiché si tratta di un vocabolo ricco di sfumature e significati. È il momento di connettersi con l’interiorità più profonda. È il momento della consapevolezza, dell’illuminazione.
- Lasciar venire, accettare la visione, l’illuminazione, la consapevolezza. Non importa se non ci piace, dovremmo aver superato la fase del “è impossibile”. Tutto ciò che arriva ora è possibile, è lecito.
- Cristallizzare, trasformare l’illuminazione in realtà operativa.
- Riaprire il cuore.
- Rendere esecutivo. La consapevolezza senza azioni è solo sogno, la visione senza concretezza è spreco.
- Prototipare. Un termine orribile per esprimere un concetto fondamentale: essere pronti ad agire, provare, sporcarsi le mani (ma non l’anima). È arrivato il momento di sperimentare.
- Riaprire la mente. Tornare pienamente al razionale.
- Incorporare. Il nuovo viene ora integrato nella realtà: il cambiamento è avvenuto ed è quasi completato.
- Eseguire operando dal tutto. Si passa alla piena azione, eppure tutto è cambiato. Ora siamo pronti ad agire da un livello diverso: siamo parte di un tutto e possiamo eseguire il nuovo consapevoli che ogni cosa è collegata. E non è una conoscenza teorica: possiamo agire vedendo i collegamenti e sapendo che ogni azione muoverà anche il tutto.
Alla prossima puntata!

La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …

Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.






