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Io so cosa è meglio per te

A quasi tutti è capitato di dirlo o di sentirselo dire: facciamo qualche riflessione in merito.

Qualcuno lo dice apertamente, qualcuno lo manifesta con i fatti, ma ci sono molti che pensano di sapere cosa è meglio per gli altri.

Parto da qui: ci si trova davanti qualcuno che pensa di parere cosa è meglio per te.

Evito anche solo di ipotizzare che la motivazione sia di pura cattiveria o manipolazione, anche se di questi tempi forse bisognerebbe pensare anche a queste situazioni. Mi limito a ragionare su ciò che viene detto, e fatto, in buona fede, magari anche con affetto.

Però ...

Chi afferma di sapere cosa è meglio per altri manifesta un temporaneo (o cronico) livello di empatia più scarso di quello di Elon Musk!

  • Nessuno, e dico nessuno, può conoscere con certezza il futuro (e lo affermo anche se studio e maneggio l’I Ching da 50 anni).
  • Il banale concetto di meglio /peggio, come la dicotomia giusto – sbagliato è limitativa, limitante e ha rovinato molte vite.
  • Ogni scelta ha conseguenze a breve e a lungo termine: chi pensa di sapere cosa è meglio per qualcun altro a cosa pensa realmente?

(ho parecchi esempi di scelte che, a breve termine, sembravano perfette, e a lungo termine si sono rivelate disastrose, o viceversa)

Ma è importante capire da dove parte questa convinzione, sia per potersi proteggere che per non subire danni.

A volte, soprattutto da parte dei genitori, c’è un forte desiderio che i figli realizzino i sogni che non sono riusciti a concretizzare loro stessi.

Un esempio? Mio padre sosteneva che era meglio che mi laureassi in farmacia, ma la scelta nasceva dal fatto che lui avrebbe desiderato fare il farmacista, e voleva realizzare il suo sogno attraverso di me.

Spesso ci sono drastiche convinzioni che qualcosa, un tipo di studi, un lavoro, un obiettivo, sia in assoluto “meglio”: in genere dipende dal personale ranking di valori che viene sbandierato come l’unico accettabile.

Esempi? Chi ha ai primi posti valori come carriera, prestigio, denaro, non può assolutamente comprendere chi, invece, ha valori preminenti come famiglia, tempo libero, qualità di vita…

E poi ci sono le paure dominanti, prime tra tutte la paura del fallimento.

Chi soffre di paura del fallimento, in qualunque forma, cerca di evitare che una persona a cui vuol bene si metta a rischio.

In tutto questo, ed è solo la punta dell’iceberg, manca la consapevolezza che:

  • una persona può riuscire laddove tu hai fallito
  • se una scelta si rivela fallimentare, ma è stata scelta, diventa un errore da cui imparare, mentre non si impara da un errore fatto per suggerimento di altri
  • una decisione che sembra vincente oggi può essere un disastro domani, e viceversa

Infine, che sia intenzionale o no, dire a qualcuno che “io so cosa è meglio per te” dimostra scarsa fiducia verso quella persona e ha gravi conseguenze sulla sua autostima.

Esempi? Su questo argomento sono ferratissima. Vengo da una famiglia dove più o meno tutti pensano, o pensavano, di sapere cosa è meglio per me. Ho sofferto di scarsa autostima per moltissimo tempo (oggi va meglio, ma mica tanto) e mi sono salvata solo grazie a un’anima profondamente ribelle.

Ed eccomi all’altra faccia della medaglia: come vive chi si sente dire che qualcun altro sa cosa è meglio per lei (o per lui).

Personalmente, come ho dichiarato, sono ribelle e un po’ anarchica.

  1. Mi obbligo a superare i primi istinti, che vanno dal vaffa alla fuga (a 23 anni ho scelto di vivere a 300km dalla mia famiglia, ma avrei voluto che la distanza fosse maggiore) passando attraverso il desiderio di aggredire, verbalmente o fisicamente non importa.
  2. Poi sento emergere un fortissimo desiderio di fare esattamente il contrario di ciò che mi viene “suggerito”.
  3. Infine scelgo di respirare, meditare e vagliare attentamente la situazione, cercando la concordanza tra testa, cuore e pancia. Non sempre serve per prendere le decisioni “giuste”, che non esistono come parametro assoluto, ma serve per capire cosa voglio e cosa sono disposta a rischiare.

E le scelte di cui mi sono pentita sono davvero pochissime, ma ho imparato molto dai miei errori.

L’alternativa? Fare la brava bambina e lasciare che qualcun altro decidesse tutto al posto mio. Ho conosciuto qualcuno che ha fatto, inconsapevolmente, questa scelta: non funziona!

#riflessionidellacarla

Autore: Carla Fiorentini 19 gennaio 2025
La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
Autore: Carla Fiorentini 29 dicembre 2024
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