Il metaprogramma Referente interno o esterno - La teoria

Dalla PNL: prosegue la descrizione dei metaprogrammi. Oggi parliamo di Referente interno o esterno.

Si tratta di un metaprogramma che ha un forte impatto sulla gestione del paziente, degli studenti, e persino dei figli, ma di questo parleremo in seguito. Oggi parliamo della definizione di questo metaprogramma, e ci divertiamo a mischiare un po’ le carte. Seguitemi!

Il metaprogramma referente interno o esterno esprime la modalità con cui si prendono decisioni: vale quello che penso io (interno) o mi serve il parere di qualcuno (esterno). Ovviamente ciascuno di noi ha diversi schemi mentali, e può usare sia il referente interno che esterno a seconda delle situazioni. Si può essere, ad esempio, referente interno sul lavoro ed esterno in famiglia.

Si può comprendere quale delle due opzioni è in azione in base ad alcuni comportamenti, o risposte a specifiche domande, o utilizzo di alcune espressioni. Mi spiego meglio.
  • Chi usa il referente esterno beve i complimenti, ne ha bisogno. Non è vanità: è semplicemente che il complimento gli indica se il mondo, o una specifica persona che in quel momento è il suo indice referenziale, approva la sua scelta o la sua azione.
  • Chi, invece, usa il referente interno può accettare o meno i complimenti, ma è il solo valutatore delle sue scelte e delle sue decisioni.
Come sai di aver fatto un buon lavoro?
  • Lo so, e basta (Referente interno)
  • Lo valuto in base alle conseguenze (Referente interno)
  • Se il capo approva, è OK (Referente esterno)
  • Vedo come reagiscono il capo, i colleghi, i miei subalterni (Referente esterno)
E ora giochiamo un po’.

La neurofisiologia ci dice che c’è un elemento determinante per valutare una buona scelta o una buona decisione: la scarica di dopamina che si produce nel nostro cervello.

Quindi, in pratica, chi usa il referente interno produce dopamina “in piena autonomia” mentre chi usa il referente esterno ha bisogno di una sorta di induzione esterna per scatenare la produzione di dopamina. E così il meccanismo, sia interno che esterno, si rinforza ad ogni occasione.
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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