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Concordo, ma anche no

La sofferenza aiuta a crescere

Un concetto che viene espresso in diverse modalità è che le esperienze difficili, la sofferenza, aiuti la crescita personale, aumenti la capacità di empatia e compassione… insomma: ci rende persone migliori. Concordo, ma anche no.

In questo periodo sono particolarmente assertiva e ribelle, e questo stato d’animo si esprime spesso nel mettere in discussione, o addirittura ribaltare, anche concetti in cui credo.

Eccomi dunque qui a polemizzare con me stessa.


È vero che le esperienze difficili rendono più forti: ci si misura con se stessi, si scoprono le proprie risorse, si acquisisce sicurezza in se stessi. Ma ci sono esperienze che spezzano, frammenti di sicurezza lasciati per strada e non più recuperabili, paure che si generano e non sempre si riescono ad eliminare.

E, attenzione: non dipende dall’esperienza in sé.

Rimango convinta che non sia possibile fare una graduatoria di difficoltà delle esperienze.

È vero che le esperienze difficili aiutano la crescita personale, aumentano la capacità di empatia e compassione: lo spiego anch’io nei percorsi di coaching per la gestione delle difficoltà.

Ma non dimentichiamoci che per qualcuno la sofferenza incattivisce, rende molto più egoisti, meno disponibili agli altri. Autodifesa, invidia, rabbia verso la vita stessa, sono emozioni che possono nascere dalla sofferenza.


Sul fatto, poi, che ci renda persone migliori esprimo tutte le mie perplessità.

Personalmente ho avuto una collezione di esperienze difficili molto ampia e variegata, fin da piccolissima, e gli ultimi quattro anni non sono certo una passeggiata. Non per vantarmi, ma rispetto a molte persone che conosco le mie difficoltà (le mie sfighe) sono state più numerose e fantasiose.

E allora? 

Sì, ogni volta cerco di imparare, migliorarmi, anche se talvolta riesco a malapena a ricostruirmi, ma …

Ero così una schifezza prima di tutto questo? Davvero? A me sembra che la parte migliore di me sia il mio io prima dei due anni, prima della morte di mia madre, prima della prima esperienza difficile della mia vita. La Carla di allora era sempre ridente, oserei dire saggia e potente. Poi ho passato buona parte della mia vita, e dei tanti corsi di crescita personale che ho frequentato, a recuperare quella personalità e quella fiducia nel mondo, nelle persone e nel futuro.

Lasciamo perdere completamente, invece, la possibilità che la sofferenza ci renda migliori rispetto ad altri: misurarsi con gli altri, in un cretino ranking di meglio o peggio, è comunque sempre una fesseria.

E quindi? 

È umano cercare un perché quando si affrontano difficoltà ed è consolatorio pensare che la sofferenza abbia un senso, un significato, e non sia vana.

Però, se devo essere sincera fino in fondo, rinuncerei volentieri ad alcuni apprendimenti per evitare un po’, anche un pizzico, di difficoltà. E comunque, caro Dio, universo, destino, adesso sono davvero stanca, ne ho davvero abbastanza: lasciami un po’ in pace, con tutti i miei limiti e difetti.


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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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