L'importanza di pianificare

Pianificare è il sistema migliore per cogliere le opportunità che si presentano e ottenere la massima flessibilità

  • Qualcuno pensa che pianificare sia un’inutile perdita di tempo (meglio fare le cose che perdere tempo a pianificarle!).
  • Qualcuno pensa che pianificare sia una sorta di gioco per menti perverse, e un po’ malate (cosa pianifichi a fare: tanto poi i piani vengono sempre stravolti!)
  • Qualcuno pensa che pianificare equivalga a imbrigliare la fantasia, o perdere opportunità, o ancora sia contrario alla necessaria flessibilità.
In realtà pianificare è il sistema migliore per potenziare la flessibilità e saper cogliere tutte le opportunità che si presentano, mantenendo l’obiettivo.
Se è così, da dove nasce la confusione, l’equivoco?
Come spesso accade, l’equivoco nasce dal fatto che esistono persone con una maggiore attitudine verso l’organizzazione e persone con una maggiore attitudine verso la fantasia, e ciascuno tende a perfezionare, portando alle sue estreme conseguenze, la propria attitudine anziché cercare gli elementi positivi di abitudini diverse, integrandole nel proprio modo di essere, e sviluppando così una maggiore flessibilità.
In pratica si tratta della solita umana resistenza al cambiamento.
  • Gli organizzatori accaniti vedono i piani come qualcosa di rigido, che deve forzatamente occupare tutto il tempo disponibile, e vivono le modifiche ai loro piani come una violenza subita.
  • Per contro i fantasiosi reagiscono affermando che i piani sono solo una perdita di tempo e un vincolo alla creatività.
Da qualunque parte voi stiate, tendenzialmente, provate a vedere un piano come la struttura portante che vi conduce all'obiettivo. La struttura portante definisce le cose essenziali, e il tempo necessario a farle, distingue le cose importanti e le cose da fare, ma di scarsa importanza.
In questo modo il piano permette facilmente di fare modifiche: sostituire o eliminare le cose di scarsa importanza è un gioco da ragazzi, modificare le cose importanti richiede qualche pensiero in più, ma è fattibile senza alterare l’essenza del piano e senza mettere in discussione l’obiettivo. Al contrario, qualora fosse necessario modificare qualcosa considerato essenziale ci si rende immediatamente conto che forse viene messo in discussione anche l’obiettivo, e si ha la possibilità di aggiustare il tiro prima che sia troppo tardi.
Un piano ben fatto consente quindi cambiamenti efficaci in tempi molto brevi, mentre la mancanza di un piano obbliga ogni volta a rivedere l’intera situazione, oppure a perdere di vista il punto di arrivo.
Inoltre un piano che sappiamo essere flessibile riduce l’ansia, e soprattutto quell'ansia legata al tempo che è ormai la malattia più frequente di questa nostra società, e del nostro stile di vita.
Se, poi, abbinerete un buon piano allo stato cerebrale di onde alfa, vi accorgerete che la vita si mette, quasi per miracolo, a scorrere più fluida, flessibile e serena.
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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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