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Consapevolezza: cos’è?

Consapevolezza: un termine che usiamo spesso. Ma che cos'è?

Il dizionario di italiano aiuta poco per definire cosa significa “consapevolezza”. Il termine viene spesso spiegato come “essere consapevole”. Ma se cercate cosa vuol dire consapevole, vi spiegano che è colui che ha consapevolezza. 
La ricerca dei sinonimi e dei contrari offre qualche spunto in più: i sinonimi sono coscienza e conoscenza, ma il contrario è inconsapevolezza.
Eppure secondo me questo vocabolo, così usato, ma poco analizzato, è uno dei termini più importanti per fare la differenza nella nostra vita.
  • È difficile essere sempre e costantemente consapevoli. Se va bene abbiamo qualche attimo, qualche barlume, qualche illuminazione di consapevolezza, ma basta questo per renderci persone diverse, e migliori.
Consapevolezza è un termine usato in psicologia, e molto spesso viene utilizzato nell’ambito della pratica della meditazione. Perché la consapevolezza ha molto in comune con l’illuminazione.
  • Si è consapevoli quando ci comprende in piena coscienza e conoscenza un fatto, un evento, una caratteristica, un sentimento. Non si tratta di comprensione razionale: quella eventualmente viene dopo. Non sappiamo neanche spiegare il percorso fatto per giungere alla consapevolezza, anche se poi cerchiamo di ricostruirlo.
La consapevolezza è un momento perfetto, in cui ci ritroviamo contemporaneamente in perfetta pace con noi stessi e con il mondo, ma pieni di aspettative per il futuro e pronti a raggiungere e costruire il nostro mondo e il nostro destino.
  • Vi è mai capitato di dover affrontare un problema complesso? Uno di quelli che vi tiene sveglio la notte e che è sempre presente nei vostri pensieri, anche quando fate qualcosa d’altro? Il problema diventa quasi un’ossessione, e ci chiediamo se e come ne potremo venir fuori. 
E poi, all’improvviso, vi trovate davanti la soluzione. Non sapete come ci siete arrivati, non sapete neanche esattamente come realizzerete materialmente la soluzione trovata, ma sapete con assoluta certezza che quella è la strada e che il successo è assicurato. 

I dubbi, le perplessità, le difficoltà arriveranno poi, quando metterete in pratica la vostra soluzione, ma in quel momento non esistono. Perché in quel momento siete nella massima armonia con voi stessi e con l’universo.
Quello è un momento di consapevolezza, ed è un momento di pura felicità. E siamo disposti a lavorare giorni, mesi, anni, sulla scia di quel momento e nella ricerca di altri momenti simili.

Quando faccio coaching mi trovo spesso davanti a problemi che appaiono insormontabili. Addirittura a volte servono diversi incontri per rendere palese il problema, figuratevi per risolverlo. Io non posso dare la soluzione: anche se ne fossi in grado, servirebbe veramente a poco offrire la soluzione su un piatto d’argento perché il problema si ripresenterebbe, magari con un costume apparentemente diverso, alla prima occasione. 
E allora si lavora sul problema, lo si analizza, lo si seziona, si ipotizzano soluzioni, si cercano vie d’uscita. E poi … succede sempre, ed è un attimo speciale. Un bel giorno, durante una sessione, vedo il coachee cambiare lo sguardo. Oppure si presenta ad una sessione con una postura diversa, uno sguardo diverso, dei movimenti diversi. È successo: il coachee ha vissuto il suo attimo di consapevolezza.
So già che da quel momento in poi tutto è cambiato, il problema è risolto, e basteranno ben poche sessioni per rendere operativa la soluzione. A volte il coachee con riesce neanche a spiegarsi e a spiegarmi cosa è successo, che soluzione ha trovato. Ciò capita quando il problema non è un fatto oggettivo, ma è originato da un groviglio interiore che, nel momento di consapevolezza, è diventato un nodo gordiano e, una volta tagliato, non potrà più riformarsi.

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Ero in farmacia, in attesa. Un’attesa piuttosto lunga visto che si trattava di una farmacia che fa il servizio di prenotazione degli esami e delle visite. Mi annoiavo ed ho cominciato a guardarmi attorno e, confesso, ad ascoltare le chiacchiere degli altri utenti in attesa. Mi ha fatto piacere incontrarti, ma perché vieni in questa farmacia? Non c’è la farmacia XXX più vicino a casa tua ? Sì, la farmacia XXX è decisamente più vicina, ma qui sorridono. Lì sono sempre scorbutici e a volte rispondono anche scocciati se chiedi informazioni. Forse è perché … Ecco. Smetto di ascoltare, e non saprò mai il presunto motivo per cui, nell’altra farmacia, sono scorbutici. Il dialogo è stato illuminante soprattutto per chi, come me, si occupa di comunicazione e management. Mi occupo, e preoccupo, di insegnare tecniche, di cercare le parole giuste, di spiegare modalità di comunicazione, di identificare esempi e suggerimenti, di incrementare hard skills e soft skills, ma ci si dimentica dell’essenziale: il sorriso . Entrare in farmacia, per qualunque motivo, e trovare il farmacista che sorride è un validissimo motivo per scegliere una farmacia invece di un’altra, magari più comoda. Però, attenzione, deve trattarsi di un sorriso vero. Esiste una netta differenza tra un vero sorriso e uno falso, voluto, determinato da movimenti volontari dei muscoli facciali. La differenza è dimostrabile tecnicamente, e per moltissime persone è percepibile a livello inconscio. Il farmacista che sorride non fa una smorfia movimentando le labbra all’insù: sorride veramente. Eppure anche il farmacista può avere problemi personali, attraversare un periodo nero, essere triste o preoccupato. Ciò che spesso dimentichiamo è che siamo noi ad avere uno specifico stato d’animo, e invece spesso ci comportiamo come se fosse lo stato d’animo, soprattutto se negativo, ad avere il pieno possesso di noi. È assolutamente possibile accantonare uno stato di infelicità per un certo periodo, dando spazio a veri sorrisi. Come? Qui le tecniche, gli esercizi e le riflessioni contenuti anche in questo sito, possono essere di aiuto: pensieri felici, meditazione, comunicazione, possono fare la differenza, quando è necessario. Ma il primo passo è personale: bisogna volerlo. Per quanto storte vadano le cose, ogni tanto si può dare una vacanza al dolore, dedicarsi agli altri, anche fornendo sorridendo la medicina prescritta o il consiglio richiesto.
Autore: Carla Fiorentini 15 settembre 2024
Da molti anni il mondo delle aziende utilizza quello che viene definito management by objective : gestione per obiettivi . Si tratta di definire uno o più obiettivi e perseguirli per un certo periodo di tempo. La scuola si è poi adeguata, anche se non sempre parla di obiettivi o di piani strategici, ma si affida ad una serie di sigle e burocrazie che, più o meno, hanno la stessa funzione. Parlare quindi di obiettivi per il nuovo anno scolastico è del tutto legittimo. Eppure … La gestione per obiettivi ha, da tempo, evidenziato una serie di limiti e problemi nel mondo aziendale , ed è triste vedere la scuola che, in ritardo, si adegua ad imitare anche gli errori dell’industria. Attenzione, però, non prendere questo come una scusa per non pianificare il nuovo anno alle porte, anzi. Si tratta di aggiungere, non di togliere. Se mi seguite sapete bene che io mi fisso una serie di obiettivi, in diverse occasioni, dunque apparentemente faccio qualcosa che ho appena dichiarato inutile. Dov’è il trucco? Gli obiettivi servono, funzionano, hanno un senso solo se inseriti in un contesto di Vision, cioè di aspirazione e desiderio globale di realizzazione di qualcosa di importante. La Vision offre il contesto da realizzare, gli obiettivi discendono da questo e permettono, a loro volta, di tradurre in azioni pratiche e giungere alla realizzazione concreta. Il consiglio è quindi di utilizzare queste ultime settimane prima dell’inizio delle lezioni per identificare la vostra Vision, in vostro sogno per il nuovo anno. Ti chiedi quali sono le differenze sostanziali tra obiettivi e vision? La risposta, per quanto limitata all'essenziale, è nella vignetta qui sotto. Gli obiettivi sono, sostanzialmente, contenuti anche nei programmi ministeriali. Personalmente suggerisco di dedicare un po' di tempo a ragionarci su, declinarli, scriverli con un linguaggio che risuoni. Tuttavia gli obiettivi sono fortemente razionali: cosa insegnare, come, in quali tempi, quali livelli di conoscenza far sviluppare negli studenti... In pratica, gli obiettivi servono per riempire il secchio delle competenze. La vision è il sogno da condividere e realizzare insieme alla classe, e ad ogni singolo studente. In pratica, quale fuoco accendere. Nella vision possiamo stabilire che tipo di atmosfera vogliamo creare, quali valori desideriamo trasmettere, che insegnante desideriamo essere, quale impronta lasciare per il futuro della classe e di ogni singolo studente, e molto altro.
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