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Come ho scoperto di essere felice

Ti dicono: cerca la serenità, perché la felicità è effimera… E INVECE...

Come tanti, ero convinta che un obiettivo importante da perseguire nella vita fosse la serenità, sostenuta dal concetto che la felicità è un attimo, e poi fugge, mentre la serenità è uno stato, un’emozione durevole.

Poi, un bel giorno, mi è stato diagnosticato un tumore al seno, già in fase avanzata nonostante da anni facessi controlli accurati e regolari. Il mio tumore era sfuggito ad ogni controllo, e tutto sommato devo dirmi fortunata perché è stato comunque scoperto.
Sono seguite una prima operazione, sei cicli di chemioterapia, venticinque sedute di radioterapia, e poi una seconda operazione, di ricostruzione. Per oltre un anno il mio tempo è stato dedicato quasi interamente a me stessa. All’inizio avevo anche cercato di continuare a lavorare: un libero professionista ha reddito zero se non lavora. Ma era chiaro che ero malata: bastava guardarmi in faccia, e nessuno vuole un consulente palesemente malato. Ben presto si sono aggiunti i numerosi effetti collaterali della chemio, poi la classica fatigue del malato oncologico. Ad un certo punto del percorso non riuscivo neanche a leggere: è stato il momento più difficile sia perché amo leggere, sia perché non riuscivo proprio a capire neanche il libro più sciocco. Perse le già scarse capacità intellettuali, esasperata dal ripetitivo palinsesto della TV, passavo il tempo cercando di fare un minimo di attività fisica (impresa non da poco: fare il giro dell’isolato mi impegnava molto a lungo), dormendo e meditando, aiutata in questo da trent’anni di meditazione e dalla meravigliosa Greta, pranoterapeuta.

Ed è stato proprio in quel periodo che ho fatto due scoperte completamente inaspettate.

La prima è che non riuscivo a leggere, ma potevo scrivere. La professoressa Daniela Lucangeli, esperta di disturbi dell'apprendimento, docente e persona meravigliosa, in uno dei suoi video spiega come l’apprendimento abbia diversi processi: da fuori a dentro, da dentro a dentro e da dentro a fuori. Ascoltando, studiando, leggendo, applichiamo il processo da fuori a dentro. Poi elaboriamo e facciamo nostre le informazioni, trasformandole, da dentro a dentro. E infine a nostra volta raccontiamo e spieghiamo, o scriviamo: da dentro a fuori.

Scrivere è un’attività che mi viene naturale, come respirare, ma senza mai una bronchite.
La rivelazione di riuscire a scrivere in qualunque situazione, (anche se l’uso del computer era leggermente complicato poiché stavo ancora facendo riabilitazione al braccio destro), mi ha decisamente riempito di gioia.

Complice, dunque, questa soddisfazione e le lunghe ora di meditazione, mi sono messa a cercare i miei pensieri felici, esattamente quelli che fanno volare Peter Pan.
La conseguenza, ovvia, è stata interrogarmi sul mio stato d’animo.

La serenità mi era decisamente lontana. Ansia, timore, dolori vari, effetti collaterali delle terapie, paura del futuro… c’era tutto, insieme alla consapevolezza che da un tumore non si guarisce in pochi mesi.
A volte ero triste, senza mai arrivare alla depressione, ma qualche giornata di tristezza credo fosse assolutamente fisiologica.
Però non potevo definirmi triste: la mia tristezza era passeggera.

Dunque: qual era lo stato d’animo dominante? Gli amici, che sono stati meravigliosi, mi chiedevano come stai. Rispondevo con informazioni fisiche non riuscendo a identificare altro.

Poi. Un giorno, ho trovato i miei pensieri felici e ho scoperto che… ero felice.

Sono passati mesi e anni, e sono felice. Ogni tanto sono in ansia, talvolta ho paura, ogni tanto piango, e sono felice. Contrariamente alle mie convinzioni, la felicità è uno stato, una specie di torrente sotterraneo di emozione sempre presente. A volte va più in profondità e sembra scomparire, come se dicesse “oggi hai bisogno di altre emozioni”, ma è sempre lì, sempre presente, pronta a ripresentarsi quando la chiamo e le do spazio.
Autore: Carla Fiorentini 19 gennaio 2025
La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
Autore: Carla Fiorentini 13 gennaio 2025
A quasi tutti è capitato di dirlo o di sentirselo dire: facciamo qualche riflessione in merito.
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