Nuove emozioni

In un mondo cambiato dalla malattia, sia per il paziente che per il caregiver, si sperimentano nuove emozioni

Il mio modo è andato in frantumi: una delle frasi più usate da pazienti e caregiver per descrivere il momento in cui la diagnosi diventa chiara, in tutta la sua crudezza.


Il mio mondo è andato in pezzi quando mi diagnosticarono un cancro, poi ancora quando ricevetti la diagnosi per mio marito. E di nuovo qualche giorno fa, quando la terza recidiva di ansia grave e deficit cognitivo di mio marito mi ha fatto capire che ogni recupero, ammesso che sia possibile, sarà sempre temporaneo.


Ciò che va in pezzi, però, non è il mondo, ma la nostra personale mappa del mondo. Questo significa che possiamo ricostruirlo, più bello e più funzionale di quanto era prima

Ogni volta ho ricostruito, rendendo la mia mappa più flessibile e funzionale: a volte erano piccoli aggiustamenti, a volte grandi rivoluzioni.


Ed eccomi oggi alle prese con una ristrutturazione necessaria per includere una nuova emozione: la rabbia.


Sì, certo, ho sempre saputo cos’è la rabbia, quella forte che acceca, ma ricordo di averla provata un sola volta, circa 60 anni fa. Avevo cinque anni, o giù di lì. Mia madre era già morta da tempo, mio padre era spessissimo via per lavoro, mia sorella non mi considerava. Ero affidata alla dada, la Iole. La mia dada non aveva cultura (aveva fatto la seconda elementare), una vita difficile (mandata a servizio a Milano quando aveva 14 anni), ma tanto buonsenso e tanto amore. Ricordo perfettamente un giorno in cui mi resi conto di essere sola e venni assalita dalla rabbia: la picchiai anche. Lei non disse nulla. Pochi minuti dopo mi abbracciò, e da quel giorno mi insegnò a cucinare, e mi dimostrò come l’amore dissolve la rabbia.


Negli anni mi sono spesso indignata, incazzata, ma non ho mai più provato quella rabbia cieca che ottenebra la ragione.

Fino a due giorni fa, quando l’ennesimo rifiuto di mio marito a far qualcosa per aiutarsi mi ha fatto scattare.


La rabbia è un nemico potente, soprattutto per se stessi. Tenerla a freno richiede moltissime energie e fa male al cuore.

Era un’emozione totalmente fuori dalla mia mappa, e credevo che non l’avrei mai provata.

Sto ristrutturando, non particolarmente felice di aver sperimentato questa nuova emozione, ma tentando di accoglierla come possibilità e dissolverla con amore, in primis amore per me stessa.

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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