Il medico coach. Cosa significa dare un feedback
L’utilizzo in medicina delle tecniche di coaching porta un incredibile aumento della compliance.
L’utilizzo in medicina delle tecniche di coaching porta un incredibile aumento della compliance. Il medico coach è una figura che si sta sempre più consolidando, con successo. Esaminiamo alcuni aspetti fondamentali
Il termine feedback
è molto utilizzato, e spesso a sproposito. Il feedback è un commento (MAI un giudizio) sui comportamenti. Esistono feedback positivi, fondamentali per incoraggiare, e feedback negativi, utili per migliorare o correggere.
Dei due, il feedback positivo è sempre il più potente, al punto che in molte situazioni è più utile trovare il modo per dare un feedback positivo piuttosto che darne uno negativo.
Se, ad esempio, un vostro paziente (o un vostro collaboratore) arriva sempre in ritardo, ma non lo fa con malizia, è più efficace ringraziare o premiare in maniera evidente coloro che arrivano puntuali piuttosto che “sgridare” mille volte il ritardatario.
Come ho già detto, un feedback non deve mai essere un giudizio. Ma come si fa a capire dove finisce il limite accettabile del commento negativo e dove inizia il limite invalicabile del giudizio?
È meno difficile di quanto possa sembrare, almeno se conoscete le tecniche di PNL, ed in particolare i livelli logici.
Il riferimento per il limite è infatti nei livelli logici. Tutto ciò che è a livello di ambiente o di comportamento è visibile, manifesto, e può far parte di un feedback negativo.
Tutto ciò che è ai livelli superiori (capacità, convinzioni, valori, identità e vision) fa parte dell’interiorizzazione del singolo individuo, non è visibile e non può far parte di un feedback negativo: si tratta di un giudizio.
Oltre a questo va ricordato che ogni volta che usiamo il verso essere per contestare qualcosa a qualcuno entriamo nell’ambito dell’identità, mentre ogni volta che usiamo il verbo fare siamo abbastanza certi di rimanere nei limiti accettabili per un feedback negativo.
- “lei è sovrappeso. Se tiene alla sua salute, deve dimagrire” una frase di questo tipo rischia di essere un giudizio inaccettabile, fatto a livello di identità. Il paziente si riconosce nel fatto di essere in sovrappeso, sente la minaccia per la salute, potrebbe anche condividere la volontà di dimagrire, ma potrebbe collocare questi elementi a diversi livelli, incluso quello dell’identità.
- “è necessario che lei cambi comportamenti e abitudini alimentari. In questo momento lei è sovrappeso, e ciò è rischioso per la sua salute” questo è un feedback in quanto il commento negativo viene fatto a livello di comportamento (cambiare abitudini alimentari).
Il coach dà feedback, sia positivi che negativi. usa molto l positivo per incentivare e incoraggiare. Usa il negativo se e quando è indispensabile. Non dà mai giudizi!
Il medico opera quasi sempre cambiamenti nella vita delle persone: assumere farmaci, smettere di fumare, cambiare alimentazione, modificare lo stile di vita.
La strada ideale è fare appello ai livelli logici superiori per incentivare la motivazione del paziente, e gestire i livelli inferiori (ambiente e comportamenti) per fare cambiamenti operativi e dare feedback. Nessuno vuol sentirsi dire che “è” sbagliato, mentre è accettabile sentirsi dire che “ha” sbagliato.
Un po’ di attenzione e di pratica, e tutto questo verrà spontaneo!

La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …

Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.






