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Per fortuna sto invecchiando

Non cercate, qui, inni alla saggezza o recriminazioni sul mondo di oggi.

Per fortuna sto invecchiando. Non so se sto diventando più saggia: secondo me no, ma comunque mi interessa poco. Non sto neanche negando gli acciacchi dell’età: ci sono, e mi danno fastidio. E nemmeno voglio recriminare sul mondo di oggi: diverse cose non mi piacciono, ma sono di una generazione che ha contribuito a creare questo mondo, nel bene e nel male, e ne faccio parte, a volte con profonda sensazione di fallimento, altre con una certa soddisfazione.

Il fatto è che si avvicina il mio compleanno e, come ogni anno, è tempo di bilanci e di riflessioni. Il prossimo 17 dicembre saranno 61. Ho temuto di non arrivarci. Sono molti di più di quelli che hanno vissuto persone a me molto care. Spero di vivere ancora a lungo, a patto di mantenermi lucida e senza essere un peso per nessuno, ma gli anni davanti a me saranno comunque meno di quelli lasciati alle spalle.
E nonostante tutto, per fortuna sto invecchiando!

Ho avuto per la prima volta la consapevolezza di essere diversa moltissimi anni fa, il 1 ottobre 1964, primo giorno di scuola, in una classe sovraffollata da circa 25 bambine della mia età e un numero imprecisato di mamme e nonne. Io ero sola.

Ho sperimentato di nuovo una forte sensazione di diversità durante l’adolescenza, quando vi vive in gruppo, si diventa omologati rispetto ad un piccolo o grande clan di coetanei. Non faceva per me. Io amavo le persone, i sogni condivisi, gli ideali comuni, ma non i clan. È andata a finire che alla festa per i miei 16 anni (una delle due feste che, nella mia vita, sono stata autorizzata ad organizzare nella casa della mia famiglia) hanno partecipato diverse persone che, tra loro, si parlavano poco o niente, eppure erano tutti lì.

Ho tentato di omologarmi diventando adulta, lavorando in azienda, cercando di mantenere segrete alcune parti della mia vita, che venivano inevitabilmente scoperte.
Al momento di organizzare le vacanze, i colleghi andavano ad Albenga, a Varazze, i più avventurosi facevano un viaggio organizzato in Scandinavia. Io andavo in campeggio in Malawi, o in Islanda.
Domeniche a pranzo o in gita tutti insieme, con mogli e figli (non ero sposata e non avevo figli), serate a tornei di bridge o in palestra. Io frequentavo corsi di crescita personale, di psicodinamica, scrittura creativa, comunicazione non verbale o meditazione con i tarocchi.

Mi sentivo senza speranza.
Ogni tanto qualcosa emergeva, e diventavo quella dell’I Ching, una specie di fattucchiera. Inutile spiegare (ma a volte ci provavo) che l’I Ching è un testo di strategia, che le loro citazioni erudite sull’Arte della guerra nascevano proprio dall’I Ching o che i complimenti che ricevevo dai consulenti che venivano a spiegarci i piani strategici erano dovuti a quello che avevo imparato dall’I Ching.

Dopo un po’ ho persino cominciato a divertirmi quando le persone che mi avevano sprezzantemente dichiarato “poco diplomatica” perché dicevo quello che pensavo, scoprivano le mie capacità di interagire con gli opinion leader più ostici e non cercavo più di raccontare che studiavo empatia, comunicazione, e tante altre cose interessanti che a loro non interessavano.

Credo che la mia uscita dall’azienda e il mio approdo alla consulenza e formazione fosse in qualche modo scritto nelle stelle.

Ma anche qui non è stato tutto rose e fiori.
Il mio “chi sono”, la mia identità, si limita al mio nome e cognome. Il resto è molto chiaro, ma mutevole e dall’esterno può sembrare schizofrenia. La mia curiosità è davvero tanta, e talvolta mi è difficile motivare campi di interesse e di conoscenza diversi tra loro, studiati con impegno, elaborati fino a farli miei, senza correre il rischio di un’etichetta di aspirante tuttologa.

Poco a poco la fastidiosa diversità è diventata consapevolezza di unicità e gioia di scoperta dell’unicità che c’è in ciascuno: chiamatela dono, karma, compito, Tikun o dharma, pur con sfumature diverse è sempre un segno di unicità. E ora che sono anziana (o, se preferite, datata), mi piace molto aiutare ciascuno a scoprire la propria unicità.
Ora posso finalmente motivare con l’età l’apprendimento e un pizzico di competenza in campi diversi: in tanti anni ho acquisito il diritto di occuparmi di cose diverse.
A 61 anni la mia non appartenenza al mondo dei belli pesa decisamente meno.

Ora accetto serenamente che le persone che incontro, o che mi conoscono, mi mettano etichette: è un problema loro, non mio, o che vogliano un contatto solo con un pezzo di me, purché non ci sia il desiderio di sfruttamento.

Non sono diventata saggia: con l’età i dubbi sono aumentati, non diminuiti, e faccio ancora cazzate, ma la definizione di vecchia pazza è più divertente e accettabile di quella di pazza schizofrenica, la mia ignoranza in certi ambiti è più tollerata e persino gli esperti mi parlano con un linguaggio meno iniziatico perché si sa, con l’età si diventa più stupidi, con buona pace della dimostrata plasticità del cervello.

In conclusione, invecchio, e mi va bene così perché l’unico modo per non invecchiare è morire giovani. E sono felice dei miei anni, e delle mie conquiste, e coltivo persino la speranza di aggiungere altri traguardi, di realizzare altri compiti. Per ora…
  • Volevo acquisire sicurezza e autostima. Non ci sono riuscita, ma ho smesso di avere paura
  • Volevo dei figli. E ho tre gatti.
  • Volevo stima e riconoscimenti da mio padre. E ho attestati si stima e affetto da tanti amici fantastici.
  • Volevo sentirmi brava. E mi sento felice.
Non ho raggiunto i miei obiettivi, ma ho conquistato un mondo tutto mio.
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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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