Flessibilità per il successo
Quando serve un buon mix di filtri sensoriali

Storia
Oggi metà della classe è in sciopero. Quindi non posso spiegare, e non voglio interrogare. Non sono dell’umore adatto per farvi fare un ripasso, mi sembra sciocco buttare via il tempo. Quindi facciamo una discussione un po’ diversa dal solito. Vorrei che mi spiegaste perché studiate, se studiate, che lavoro vorreste fare e perché, quali hobby avete e perché vi piacciono. E cosa vi piacerebbe proprio fare (o studiare), ma vi sembra di non riuscirci.
Carlotta: Prof, che domande stupide! Ormai dovrebbe conoscerci abbastanza bene!
Comincia tu a rispondermi, e vedrai che sono domande meno stupide e banali di quello che sembrano.
Carlotta: Ok, meglio chiacchierare, almeno evitiamo di parlare di matematica, o altre robe. Perché studio? Studio quando devo essere interrogata, almeno per quanto riguarda le materie scolastiche. Se posso, evito di studiare, visto che alcuni prof sono così gentili da darmi il voto quando rispondo bene durante le lezioni. Che lavoro vorrei fare … non lo so. So che vorrei un lavoro che mi dia libertà, che non sia ripetitivo, che porti armonia nella mia giornata. Uffa, mi fa diventare melensa. E la terza domanda? AH! Cosa mi piacerebbe fare, ma non riesco. Cantare! Sono stonata, quindi non canto assolutamente mai. Forza, sotto a chi tocca!
Michele: Io studio sempre. Lo so, mi chiamano secchione. Ma mi piace prendere buoni voti. Credo sia una questione di autostima. Ho tutti i libri sottolineati, con diversi colori, quaderni pieni di schemi, diagrammi riassuntivi … Insomma, sono uno preciso e attento. Come lavoro vorrei fare il guru, ma quelli veri! quelli riconosciuti da tutti! Quelli che tengono conferenze importanti con sale da 1000 persone piene da scoppiare! E quello che non riesco proprio a fare è ballare, o fare sport. Lì sono una frana! Evidentemente sono un uomo di cervello! E tu, Ivana?
Ivana: Io studio le materie che mi servono, quelle che hanno un senso, una possibilità di utilizzo. Vorrei fare il chimico, o la cuoca in un grande ristorante (che poi sono simili). Come hobby dipingo, faccio bricolage, e roba simile. Le cose che voglio fare le faccio. Basta provare e riprovare e prima o poi ci riesco!
Carlotta: E adesso che le abbiamo risposto?
Abbiamo ottenuto due risultati: io so come farvi studiare un po’ di più la mia materia, e so anche come aiutarvi a realizzare i vostri sogni.
Domande
- La professoressa ha dichiarato che poteva aiutarli a realizzare i loro sogni. Ma come?
- Quali suggerimenti potrebbe dare?
Risposte
La professoressa ha dichiarato che poteva aiutarli a realizzare i loro sogni. Ma come?
- Conoscendo le aspirazioni e il sistema rappresentazionale la professoressa può ragionevolmente comprendere quali delle skills necessarie per la professione desiderata sono più difficili da conquistare per ciascuno degli studenti, e può così aiutarli a prepararsi.
È ovvio che la professoressa non ha alcuna certezza, quindi partirà dagli indizi e andrà avanti con sperimentazioni e approssimazioni successive.
Quali suggerimenti potrebbe dare?
- Carlotta è la più complessa, e difficile da aiutare. Ha un sistema rappresentazionale presumibilmente uditivo, desidera un lavoro che porti creatività e armonia. Detesta manifestarsi sensibile, e anche questo conferma il probabile sistema rappresentazionale uditivo che è il più logico e razionale dei tre. L’armonia nella vita è soprattutto una sensazione interiore, quindi Carlotta dovrebbe imparare ad accettare la sua sensibilità. Questo può avvenire attraverso lo sviluppo del filtro cinestesico. Inoltre nell’esempio precedente ha detto che vorrebbe cantare ma, essendo stonata, non lo fa. Le può quindi essere utile un po’ del coraggio nel mettersi in mostra tipico del visivo, almeno per trovare il coraggio di cantare sotto la doccia.
- Michele vuole “fare il guru”: parlare in pubblico, coinvolgendo e affascinando gli ascoltatori. Presumibilmente ha, come abbiamo visto prima, un sistema rappresentazionale visivo. Ma per parlare in pubblico gli è indispensabili la voce armonica e ben modulata tipica dell’uditivo. Inoltre aveva detto di non riuscire a fare sport. Ma per parlare in pubblico efficacemente gli serve sapersi muovere, oltre che la sensibilità di percepire il pubblico: entrambe caratteristiche più affini al sistema rappresentativo cinestesico.
- Ivana, infine, manifesta un sistema rappresentazionale cinestesico. I desideri professionali che esprime sono perfetti. Eppure per essere un buon chimico, o un ottimo cuoco, non può limitarsi ad andare per tentativi! Quindi un po’ della logica, della razionalità e dell’armonia dell’uditivo le sono sicuramente utili. Come ottimo cuoco di successo, inoltre, i piatti devono essere presentati in maniera esteticamente impeccabile. Dunque un pizzico del senso estetico del visivo le serve proprio!

Quando si parla di rinnovare la scuola, soprattutto la scuola dell’obbligo, sento che alla base c’è un grande equivoco, un enorme fraintendimento che vanifica qualunque buona intenzione. Lo so: non ho alcun titolo per fare questa affermazione. E infatti il mio non è un giudizio, ma una riflessione, che pure sento condivisa da tanti insegnanti sicuramente volonterosi e scrupolosi, e dubbiosi sul loro futuro e su quello dei loro studenti. Come dice Snoopy “ educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco ”. Ci sono altre frasi, altri dotti autori, che nel tempo hanno affermato lo stesso concetto: mi piace riprendere le parole di Snoopy perché hanno tutta la saggezza dei nostri bambini. I politici, deputati a fare la riforma scolastica o almeno a prendersi cura della scuola, continuano ad affermare che la scuola deve preparare al mondo del lavoro, deve formare i ragazzi per il futuro. L’equivoco è proprio qui. È vero che la scuola deve preparare i ragazzi, è vero che la scuola può e dovrebbe fornire tecniche, strumenti, mezzi per il futuro e per il mondo del lavoro. Ma pensiamo un attimo alla differenza del mondo del lavoro tra quando andavamo noi a scuola e quando poi siamo andati a lavorare, o alla differenza della società tra quando abbiamo iniziato a lavorare e oggi. C’è un abisso! Ci sono differenze enormi. E l’accelerazione ai cambiamenti a cui assistiamo fanno pensare che tra oggi e il 2030, 2040, quando andranno (speriamo) a lavorare i ragazzi che oggi sono alle scuole elementari le differenze saranno davvero impensabili. Come possiamo preparare i bambini ad un futuro che ci è totalmente ignoto, ad un mondo del lavoro che non conosciamo? Le differenze tra l’oggi e i successivi 15-20 anni erano molto meno marcate 30 o 50 anni fa. Non possiamo preparare gli studenti di oggi al mondo del lavoro del futuro, semplicemente perché non sappiamo quale sarà il mondo del lavoro in futuro. Quello che possiamo (e, credo, dobbiamo fare) è mettere gli studenti di oggi in condizione di costruirsi il futuro, di affrontare al meglio il mondo del lavoro e la loro vita futura. Dobbiamo fornire le basi affinché abbiano voglia di impegnarsi per creare un futuro e una società migliore, migliore anche di quella che gli stiamo mostrando oggi. Oggi, più che mai, dobbiamo trasmettere un fuoco di cultura vera, creativa, gioiosa. Se per farlo è necessario aumentare le tecnologie a scuola (ed è necessario) gli insegnanti dovranno impegnarsi per apprenderle e usarle. Ma ricordando che la tecnologia è un mezzo, non un fine . La scuola non prepara al futuro: la scuola prepara il futuro se costruisce cittadini consapevoli, preparati, fiduciosi, collaborativi, curiosi, colti, uomini e donne ricchi di valori e di cultura.

Se facessimo una classifica di pazienti modello gli italiani non sarebbero certo ai primi posti, lo sappiamo da anni. Sappiamo che gli italiani si auto riducono i dosaggi, terminano le cure prima di quanto ha detto il medico, non rispettano le posologie, … Ora, a tutto questo, si è aggiunta una sorta di auto-riduzione dei farmaci prescritti. Ma il vero problema è che ora tutto ciò che già accadeva, e molto di più, è originato dalle difficoltà economiche in cui versano molti italiani. E se prima le autoriduzioni di posologia o durata della terapia erano frequenti soprattutto nelle patologie acute, oggi la rinuncia alla terapia, o la sua drastica riduzione, avviene soprattutto nelle patologie croniche. E raramente il medico è a conoscenza della situazione: il paziente non ha la forza, o il coraggio, di dichiarare al medico la sua realtà. Ancora una volta, dunque, è il farmacista colui che ha maggiormente il polso della situazione, e che è chiamato, sebbene non ufficialmente, a supportare il paziente. Cosa può dunque fare il farmacista? Il mio parere personale è di creare una vera e propria rete di allerta, sostegno e valutazione che coinvolga il farmacista “di quartiere” e il medico di base, che abbia anche la possibilità di intervento reale nel fornire farmaci a chi, davvero, rinuncia alle terapie per motivi economici. È un sogno, lo so. Rimanendo su azioni concrete credo che il farmacista possa fare molto con le sue capacità di sostegno e consiglio, senza sostituirsi al medico. Credo anche che il futuro sia nello sviluppo di competenze di coaching per il medico e il farmacista. Competenze che permettono di motivare il paziente, supportarlo durante la terapia, finalizzare le cure, e ridurre anche i costi in numerose sfaccettature del sistema sanitario consentendo così di ricavare risorse per fornire terapie totalmente gratuite a chi, altrimenti, non può permettersele. Un sogno anche questo, ma più facile da raggiungere rispetto al precedente.

Non è, ovviamente, mia intenzione dare consigli su rimedi della nonna, antiche ricette o terapie alternative, ma solo riflettere, e farvi riflettere, su come rispondere al paziente che vi racconta di cure di supporto che, a lui, appaiono tanto efficaci. Le situazioni sono molteplici, e i rimedi sono infiniti. Si va dai consigli alimentari alle cure palliative, dai decotti alle sciarpe rosse: si usa di tutto e si sente di tutto. Talvolta sono i rimedi della nonna, altre volte sono antiche ricette lette su qualche rivista di salute, o consigli letti sul web o ricevuti da qualche amico. Siatene certi: la maggior parte dei vostri pazienti fa uso di qualche rimedio, integratore, elemento salutistico o alimento prodigioso, sia che ve lo racconti sia che stia in totale silenzio . Ci sono gli alimenti salutari, le medicine alternative, i rimedi tramandati in famiglia, le pubblicità … È chiaro che il medico dovrà valutare caso per caso, ma ci sono alcune raccomandazioni (dettate dal buon senso, oltre che dallo studio della comunicazione) che valgono sempre. Il primo consiglio è che è sempre meglio sapere tutto quello che il paziente assume o fa, soprattutto se siete il medico di famiglia che tiene le fila della sua storia clinica. Se contestate, sminuite, rifiutate o ridicolizzate ogni rimedio che i vostri pazienti ritengono efficaci ciò che otterrete non sarà l’eliminazione delle aggiunte, palliative o terapeutiche, ma solo e semplicemente il paziente smetterà di raccontarvi ciò che assume . Il secondo consiglio, strettamente correlato al primo, è che l’effetto placebo, nelle sue diverse forme, è un fattore fondamentale per la guarigione, di qualunque malattia. Visto che parliamo di rimedi della nonna citerò le parole di mia nonna, quando mi trovò (avevo circa un anno) a mangiare i chicchi d’uva raccolti da terra poiché non arrivavo ai filari: quel che non strozza, ingrassa. Quello che non fa male, va bene. Imparate quindi ad accettare quei rimedi che non fanno alcun danno, e accettateli di buon grado. Eliminate, invece, drasticamente ciò che è rischioso o, meglio ancora, sostituitelo con qualcosa che sia innocuo o davvero di supporto. Potrete così mantenere alto l’effetto placebo e, contemporaneamente, conservare la fiducia del vostro paziente e un alto livello di dialogo.

Dopo una laurea in chimica e tecnologie farmaceutiche e oltre 20 anni di carriera in aziende farmaceutiche multinazionali, e continuando ad aggiornarmi anche da quando faccio la libera professione, credevo si sapere molto sui placebo e sull’effetto placebo. Ma questo libro mi ha affascinato e fatto fare nuove scoperte fin dalle prime pagine. I suoi pregi sono moltissimi. I pregi pratici: è piccolo, leggero, economico. Può essere messo in borsa e letto ovunque. E anche queste piccole cose non sono da sottovalutare. È scritto benissimo. Si pone l’obiettivo di essere un testo divulgativo, e lo è davvero . Ricchissimo di cultura e di riferimenti storico – letterari – filosofici manca totalmente di pomposità o frasi contorte che spesso si trovano in questo tipo di libri. Qui c’è la cultura vera. Einstein diceva “ Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna ”, affermazione che condivido appieno perché chi sa davvero sa anche semplificare i concetti. Fabrizio Benedetti sa. Sa spiegare, sa affascinare. E il libro è anche affascinante per i contenuti, il rigore scientifico. È imperdibile per tutti coloro che lavorano in ambito salute, ed è utile per tutti.

Il titolo completo del libro è Intelligenza emotiva Cos’è e perché può renderci felici. Daniel Goleman è sicuramente il più autorevole esperto mondiale di intelligenza emotiva. Il libro viene talvolta dichiarato “fuori catalogo”, ma vi assicuro che si trova ancora, sia in libreria che per gli acquisti on line. Queste le notizie pratiche. E poi, che dire? È interessante, scritto bene, leggibilissimo. E, soprattutto, imperdibile per chiunque abbia interesse per le relazioni umane, per chi educa, collabora o guida altri esseri umani.





