Soft sklls - Come "gestire se stessi"

How many road must a man walk down, before you can call him a man? Bob Dylan

Consapevolezza, padronanza personale, presenza, conoscenza di se stessi, … non sono esattamente sinonimi, ma sono tutti elementi fondamentali per gestire se stessi.


Gestire se stessi non ha un punto di arrivo: ogni giorno si può imparare, migliorare. E non ha neanche un vero punto di partenza: qualcuno si muove guidato dai suoi educatori, genitori, insegnanti, adulti che lo circondano, e comincia da bambino, qualcuno inizia invece spinto dal dolore, altri dalla curiosità. La gestione di se stessi è tutto sommato il nucleo del saper essere.


Molti di noi sono stati educati con il precetto di “ama il prossimo tuo come te stesso”, ma spesso si sono dimenticati di dirci che non si tratta di un precetto di puro altruismo, perché amare veramente se stessi è in genere molto più difficile di un vago amore per gli altri, di cui non conosciamo altrettanto bene debolezze, paure, pensieri, …

Ecco: possiamo iniziare da qui, dal saper amare se stessi, eliminando il falso orgoglio, la vanità, ma anche la modestia inutile, quella che ci fa sottovalutare o che viene guidata essenzialmente dalla paura.


  • Bisogna imparare ad elaborare le esperienze, anche le più dolorose, riuscendo a capire profondamente come tutto ciò che abbiamo vissuto, o vivremo, ci porta ad essere ciò che siamo, ricordando che solo la vera elaborazione delle esperienze permette di eliminare rancori e rimpianti.
  • Bisogna imparare ad accettarsi, ma senza nascondersi dietro la banale frase “sono fatto così”: nessuna rabbia verso i nostri difetti, o verso i comportamenti che in realtà non ci piacciono, ma anche nessuno sconto. I comportamenti possono essere cambiati poiché sono semplicemente frutto di abitudini o di principi che ci sono stati inculcati. (Esistono diverse tecniche per cambiare i comportamenti).
  • Bisogna imparare a non sacrificarsi: ciò che si fa per gli altri va fatto con gioia, oppure non va fatto. L’idea di sacrificarci comporta, inevitabilmente, o del rancore o l’attesa che venga fatto in cambio qualcosa per noi.

Imparare dal passato, vivere il presente e costruire il futuro: forse questa è l’essenza del gestire se stessi.

Serve pazienza, e questa è sicuramente una delle parole chiave della gestione di se stessi.

Non posso certo pretendere di essere esaustiva in queste poche righe: non basterebbe un libro: molti ne sono stati scritti sull’argomento e molti saranno stilati. Ciò che desidero è inviarvi sollecitazioni, suggerimenti, poiché l’unica cosa di cui sono consapevole su questo argomento è che l’importante è cominciare.

Una delle cose che amo, e su cui scrivo spesso, sono le favole, e tutto ciò che è correlato all’argomento. Joseph Campbell, il più noto studioso dei miti, ha identificato che ogni favola, ogni mito, sostanzialmente è riconducibile ad alcune fasi, da lui definite Il viaggio dell’eroe:

Imparare a gestire se stessi è una sorta di viaggio dell’eroe per ciascuno di noi. Una volta accettata la chiamata, e iniziato il viaggio, si trova un mentore. Ed è importante ricordare che il mentore arriva solo dopo che si è iniziato il viaggio, solo dopo che si è varcata la soglia. Ma è altrettanto importante sapere che il mentore arriva.

Pertanto se state leggendo queste pagine avete già sentito la chiamata, e l’avete già accettata. Qualcuno ha probabilmente varcato la soglia, altri l’incontreranno in futuro. Poi troverete la strada, il mentore. Buon viaggio, dunque. 

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La definizione di “ relazione di aiuto ” nasce nel 1951 quando Carl Rogers nel 1951 specificò che si tratta di " una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato ”. Carl Rogers è il fondatore del counseling . C’è spesso confusione tra relazione educativa e relazione di aiuto ma la confusione, a mio avviso, nasce in buona parte dal fatto che chi molto di quanto è stato scritto per argomentare le due tipologie di relazione nasce in ambito universitario e didattico, interessandosi più degli aspetti istituzionali che del lato pratico. Certamente chi educa aiuta, e chi aiuta educa , ma se ci riferiamo ad un contesto ben preciso, come quello dell’attività professionale quotidiana di un farmacista, ci sono alcune differenze molto specifiche. Ma in sostanza, serve davvero al farmacista conoscere le differenze? Il farmacista, in termini di comunicazione, svolge diversi ruoli e necessita di estrema flessibilità per passare da un ruolo all’altro o, meglio, per mettere in campo ogni volta le specifiche competenze che sono più utili. Per far meglio il proprio lavoro, o per affaticarsi meno nel farlo, è dunque utile conoscere e familiarizzare con i concetti basilari e le tecniche proprie di uno o dell’altro ruolo. Mi spiego meglio. Il farmacista vende . Non salute, ma prodotti. Le tecniche di vendita gli servono dunque per vendere meglio e anche per acquistare meglio, o saper controbattere ai venditori che incontra. Il farmacista consiglia . Il farmacista supporta il paziente e il medico per ottenere la massima adesione alle terapie. Il farmacista ha un importante ruolo sociale per migliorare salute e qualità di vita della popolazione. Le cose si complicano. Le tecniche di vendita non servono più, e in realtà non servono nemmeno quando il farmacista vuole passare dal puro atto di vendita alla più redditizia fidelizzazione del cliente. Ipotizziamo tre diverse situazioni, molto comuni nell’attività quotidiana. Il cliente presenta una prescrizione medica un po’ complessa e chiede aiuto per meglio comprendere e ricordare la posologia e la durata della terapia. In questo caso è ottimale far ricorso a tecniche di coaching , strumenti finalizzati al raggiungimento di uno specifico obiettivo. Il cliente ha un problema, non sa che fare, vuole suggerimenti e consigli, non sa neanche se andare dal medico o no. È preoccupato, ma confuso. È la classica situazione della relazione di aiuto. Il cliente ha un problema di salute. È sotto controllo medico, ma ha letto su qualche sito un po’ di tutto, sa che deve modificare il suo stile di vita o la sua alimentazione. Qui il farmacista passa al ruolo di educatore sanitario : chiarisce i dubbi, elimina le sciocchezze, fornisce suggerimenti. Ma quali sono le tecniche, le regole del gioco nei diversi ruoli? Un po’ di pazienza …
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Analizzando le problematiche della relazione medico-paziente oggi, ho ritrovato questo articolo scritto circa 5 anni fa. MOLTO è cambiato in questi anni, e quasi non ce ne siamo resi conto o, meglio, non ne sono consapevoli molti di quelli che dovrebbero gestire il problema. Comincio quindi ripubblicando questo articolo, a cui seguiranno le considerazioni più aggiornate. Un tempo, tanti anni fa, il medico di famiglia era il depositario delle conoscenze sulla salute dell’intera famiglia. Ed era anche, a parte i casi in cui diventava necessaria l’ospedalizzazione, l’unico medico con cui si aveva a che fare per la maggior parte dei problemi di salute. Raccontarlo oggi sembra di parlare di preistoria! Per essere pienamente corretta devo dire che si trovano ancora medici di famiglia, soprattutto nei piccoli paesi: in città è molto più difficile. Poi, per decenni, ci siamo rivolti agli specialisti e la fiducia del paziente si è trasferita nelle medicine e nella tecnologia diagnostica più ancora che nella figura del medico. Oggi sembra che siamo alle soglie di una nuova rivoluzione, che riguarda anche (o forse soprattutto) il medico di famiglia. Non si tratta di una rivoluzione tecnologica: è in gioco anche quella, ma riguarda più il sistema sanitario che il rapporto medico – paziente. Ciò che sta cambiando è più complesso, più profondo e, soprattutto, sistemico. Gli attori sono le malattie, soprattutto quelle gravi (le percentuali di incremento di alcune forme si tumore sono impressionanti, ma altrettanto vale per le guarigioni da molte forme di cancro), le nuove scoperte sulla psiconeuroimmunoematologia, internet, il paziente e i medici: siamo tutti coinvolti. In questi cambiamenti il sistema sanitario è un attore marginale e, soprattutto ora, è un elemento di burocrazia e di controllo economico, spesso nemico del benessere, spesso in ritardo, spesso fonte di complicazioni. Sono stati spesi fiumi di inchiostro per esaminare, condannare o esaltare il web come fonte di informazioni sulla salute. Qualunque malattia, o terapia, venga digitata, si trovano in pochi secondi migliaia di fonti di informazione, milioni di notizie, vere, verosimili, false, spesso in contrasto tra loro. Così il web come fonte di informazioni, come sostituto del medico di famiglia, si sta autodistruggendo. Quello strano elemento, che per anni è stato identificato come nemico dalla classe medica, è pronto per autodistruggersi. Già, perché quando il problema di salute è serio, la situazione è grave, si desiderano notizie certe: serve un punto di riferimento “sicuro”. Ovvio, a fronte di una diagnosi di tumore è l’oncologo il riferimento primario. Ma non basta. Serve una persona di famiglia, in cui si ha piena fiducia, a cui rivolgersi in ogni momento, a cui poter chiedere le cose più disparate: qualcuno che tenga i fili della complessità tra diagnosi, terapia, esami, effetti indesiderati, cambiamento di stile di vita, alimentazione, integratori, paure, ansie, dubbi. Solo il medico di famiglia può essere quel giocoliere competente, ma non tecnico super esperto, che può aiutarci nel giorno per giorno. Quindi cerchiamo nuovamente quel medico saggio, disponibile, competente, attento, dotato di estremo buon senso, capace di parlarci nel modo giusto al momento giusto. Io ne conosco alcuni: so che ci sono. Non possono essere sostituiti da nessun motore di ricerca. Sono impagabili, e fanno la differenza. Questo articolo è stato scritto un paio di anni fa. Rivedendolo oggi, sorrido e rabbrividisco. Sì, perché se c'è una cosa, in mezzo a milioni di incertezze, che la pandemia mi ha confermato con assoluta certezza è che il medico di famiglia, quello vero, forse un po' obsoleto secondo alcuni, fa davvero la differenza, in meglio.
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