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Chi ha ragione?

Meccanismi di elaborazione alterati

Storia
Luca è un adorabile folletto di 5 anni. Vivace, ma sempre educato e rispettoso degli altri bambini. Carlotta, la maestra, per quanto non sia disposta ad ammetterlo neanche con se stessa, ha un debole per lui: se avrà un figlio, lo vorrebbe proprio come Luca. Eppure Luca da qualche giorno è strano: mogio mogio, non sorride più, sta sempre in un angolo, ed è molto meno socievole con gli altri bambini. Carlotta ha notato subito questo cambiamento, ma per i primi giorni ha deciso di non intervenire. Oggi, però, non resiste più:
  • Luca, non giochi con gli altri?
  • No, maestra, sto bene qui.
  • Cosa ti è successo? C’è qualcosa che non va? Ti senti poco bene?
  • No, maestra, sto bene. Sono in castigo.
  • In castigo? Io non ti ho messo in castigo! Perché sei in punizione?
  • Sono in castigo perché sono cattivo. L’altro giorno ero al parco con la mamma e ho fatto il birichino. La mamma mi ha detto che la faccio soffrire e che le faccio fare brutta figura. Io non voglio far soffrire la mia mamma. Allora sono in castigo.

Domande
  • La mamma, con la frase “mi fai soffrire” ha usato un meccanismo di elaborazione ben preciso. Quale?
  • Leggendo questa storia in chiave di comunicazione, cosa ha fatto la mamma di Luca?
  • Il comportamento della mamma di Luca è giusto o ingiusto?

Risposta
La mamma, con la frase “mi fai soffrire” ha usato un meccanismo di elaborazione ben preciso. Quale?
  • Le frasi del tipo: “mi fai soffrire” nascono dall’utilizzo di un meccanismo di elaborazione: la distorsione (o deformazione). È uno dei meccanismi che utilizziamo per formare la nostra mappa del mondo, ed è estremamente utile. Talvolta, però, come in questo caso, lo usiamo malamente.
  • Tali espressioni sono definite deformazione causa – effetto: attribuire ad un fattore esterno il controllo delle proprie emozioni (“mi fai arrabbiare”, “mi rendi nervoso”, “sei la mia disperazione”) deformando i fatti come se non fosse possibile avere una reazione diversa dalla rabbia, o dal nervosismo
Leggendo questa storia in chiave di comunicazione, cosa ha fatto la mamma di Luca?
  • La mamma tenta di controllare Luca tramite una deformazione causa – effetto e Luca, con l’ingenuità e l propria dei bambini, ha accettato in maniera assoluta l’affermazione materna, decidendo di pagare le conseguenze.
Il comportamento della mamma di Luca è giusto o ingiusto?
  • Anche se il comportamento di Luca era ha sbagliato, quello della madre è ingiusto. Infatti il comportamento di Luca non è automaticamente correlabile con i sentimenti della madre, che può scegliere tra rabbia, sofferenza, indifferenza, e così via.
    Solo quando siamo in grado di non attribuire ad altri il controllo delle nostre emozioni ne diventiamo pienamente padroni, e acquisiamo maggiore libertà.

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La comunicazione non verbale e paraverbale sono in diretto collegamento con il nostro inconscio. Così, conoscere almeno i primi rudimenti di comunicazione non verbale aiuta a conoscere meglio gli altri, interpretare il loro pensiero, comprendere i loro bisogni. Aggiungo, per chi ha già qualche conoscenza di programmazione neurolinguistica, che la postura, i movimenti, il tono di voce, contraddistinguono le tre tipologie: visivo, uditivo e cinestesico. Ciò che, invece, probabilmente tutti sappiamo, ma non ci soffermiamo mai a riflettere in merito, sono i collegamenti tra stato d’animo ed elementi di comunicazione non verbale, e come questi possano davvero aiutarci a vivere meglio. È importante ricordare che esiste un collegamento reciproco tra stato d’animo e non verbale . Mi spiego meglio. Qualunque sia la nostra postura abituale, quando siamo tristi o preoccupati la nostra prima, spesso inconscia, reazione è quella di abbassare le spalle, incassare la testa, abbassare i bordi delle labbra (una sorta di sorriso al contrario). Quando siamo allegri la nostra postura è esattamente l’opposto. E allora? Testa alta, sorriso stampato, spalle bene in fuori: credetemi, non risolve i problemi, ma cambia subito l’umore, e lo spirito con cui affrontare quello che non va. Analogamente: se siamo in uno stato d’animo d’ansia il respiro si fa più corto e affrettato, il tono di voce più acuto e le parole escono molto più in fretta. Uno sforzo volontario per respirare a pieni polmoni, modulare il tono di voce e parlare più lentamente … e l’ansia si attenua. Provare per credere!
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